Il Sole Domenica 29.4.18
L’estratto
Dal prodotto all’essere umano
di Karl Marx
Supponiamo
di avere prodotto in quanto uomini: ciascuno di noi avrebbe nella sua
produzione affermato se stesso e l’altro due volte. Io avrei 1)
oggettivato nella mia produzione la mia individualità, la sua
peculiarità, e avrei quindi goduto, durante l’attività, di una
manifestazione individuale della vita, così come nella contemplazione
dell’oggetto avrei goduto della gioia individuale di sapere la mia
personalità come un potere oggettivo, sensibilmente visibile e quindi
elevato al di sopra di ogni dubbio. 2) Nel tuo godimento o nel tuo uso
del mio prodotto io avrei immediatamente il godimento della
consapevolezza di avere soddisfatto nel mio lavoro un bisogno umano,
quindi di avere oggettivato l’essenza umana e avere quindi procurato il
suo oggetto corrispondente al bisogno di un altro essere umano, 3) di
essere stato per te il mediatore tra te e la specie, quindi di venire
inteso e sentito da te stesso come un completamento del tuo proprio
essere, come una parte necessaria di te stesso, di sapermi quindi
confermato nel tuo pensiero come nel tuo amore, 4) di avere procurato
immediatamente nella mia individuale manifestazione di vita la tua
manifestazione di vita, dunque di avere confermato e realizzato
immediatamente nella mia attività individuale la mia vera essenz a, la
mia essenza comune, umana.
Le nostre produzioni sarebbero come altrettanti specchi dai quali la nostra essenza rilucerebbe a se stessa.
Questo rapporto sarebbe dunque reciproco, dalla tua parte accadrebbe quel che accade dalla mia.
Consideriamo i diversi momenti come compaiono nella supposizione:
Il
mio lavoro sarebbe libera manifestazione della vita, quindi godimento
della vita. Sotto il presupposto della proprietà privata esso è
alienazione della vita, infatti io lavoro per vivere, per procurarmi
mezzi per vivere. Il mio lavorare non è vita.
In secondo luogo:
nel lavoro sarebbe perciò affermata la peculiarità della mia
individualità, poiché mia vita individuale. Il lavoro sarebbe dunque
proprietà vera, attiva. Ma sotto il presupposto della proprietà privata
la mia individualità è alienata fino al punto in cui questa attività mi è
detestabile, è un tormento e piuttosto soltanto la parvenza di
un’attività, perciò anche un’attività soltanto imposta è soltanto da un
accidentale bisogno esteriore, non da un necessario bisogno interiore.
Il
mio lavoro può apparire nel mio oggetto solo come quel che è. Non può
apparire come quel che non è per sua essenza. Quindi esso appare ancora
soltanto come l’espressione oggettiva, sensibile, contemplata e perciò
al di sopra di ogni dubbio, della mia perdita di me stesso e della mia
impotenza.
Testo estratto dalle pagine 210-211 di: Karl
Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, e altre pagine su
lavoro e alienazione , a cura di Enrico Donaggio e Peter Kammerer,
Feltrinelli, Milano, pagg. 272, in libreria dal 23 maggio
«Pochi
spettacoli sono più avvincenti , per chi è sensibile al fascino delle
idee, di un grande pensatore per la prima volta alle prese con problemi
nuovi, in caccia di prospettive e soluzioni inedite» scrivono Enrico
Donaggio e Peter Kammerer, in questa nuova edizione dei Manoscritti
economico filosofici che Feltrinelli manderà in libreria il prossimo 23
maggio (un’edizione arricchita di molti inediti rispetto alla prima
edizione, anch’essa pubblicata postuma nel 1932).
Qui riprendiamo
il passaggio dove Marx formula per la prima volta la categoria di
feticismo della merce. Una scoperta che cambia radicalmente i suoi
interessi. Il concetto che motiva Marx, fino a quel momento immerso nei
problemi della filosofia, a scegliere l’economia come disciplina chiave
per spiegare l’essenza dell’agire umano. Una dinamica affascinante e
terribile al tempo stesso dove l’economia si manifesta attraverso
l’indicazione della sua patologia: sono le merci a impadronirsi degli
uomini fino a ridurli a cose. Il compito dello studio critico
dell’economia è farli tornare ad essere di nuovo persone.
David Bidussa