lunedì 30 aprile 2018

Il Sole Domenica 29.4.18
L’estratto
Dal prodotto all’essere umano
di Karl Marx


Supponiamo di avere prodotto in quanto uomini: ciascuno di noi avrebbe nella sua produzione affermato se stesso e l’altro due volte. Io avrei 1) oggettivato nella mia produzione la mia individualità, la sua peculiarità, e avrei quindi goduto, durante l’attività, di una manifestazione individuale della vita, così come nella contemplazione dell’oggetto avrei goduto della gioia individuale di sapere la mia personalità come un potere oggettivo, sensibilmente visibile e quindi elevato al di sopra di ogni dubbio. 2) Nel tuo godimento o nel tuo uso del mio prodotto io avrei immediatamente il godimento della consapevolezza di avere soddisfatto nel mio lavoro un bisogno umano, quindi di avere oggettivato l’essenza umana e avere quindi procurato il suo oggetto corrispondente al bisogno di un altro essere umano, 3) di essere stato per te il mediatore tra te e la specie, quindi di venire inteso e sentito da te stesso come un completamento del tuo proprio essere, come una parte necessaria di te stesso, di sapermi quindi confermato nel tuo pensiero come nel tuo amore, 4) di avere procurato immediatamente nella mia individuale manifestazione di vita la tua manifestazione di vita, dunque di avere confermato e realizzato immediatamente nella mia attività individuale la mia vera essenz a, la mia essenza comune, umana.
Le nostre produzioni sarebbero come altrettanti specchi dai quali la nostra essenza rilucerebbe a se stessa.
Questo rapporto sarebbe dunque reciproco, dalla tua parte accadrebbe quel che accade dalla mia.
Consideriamo i diversi momenti come compaiono nella supposizione:
Il mio lavoro sarebbe libera manifestazione della vita, quindi godimento della vita. Sotto il presupposto della proprietà privata esso è alienazione della vita, infatti io lavoro per vivere, per procurarmi mezzi per vivere. Il mio lavorare non è vita.
In secondo luogo: nel lavoro sarebbe perciò affermata la peculiarità della mia individualità, poiché mia vita individuale. Il lavoro sarebbe dunque proprietà vera, attiva. Ma sotto il presupposto della proprietà privata la mia individualità è alienata fino al punto in cui questa attività mi è detestabile, è un tormento e piuttosto soltanto la parvenza di un’attività, perciò anche un’attività soltanto imposta è soltanto da un accidentale bisogno esteriore, non da un necessario bisogno interiore.
Il mio lavoro può apparire nel mio oggetto solo come quel che è. Non può apparire come quel che non è per sua essenza. Quindi esso appare ancora soltanto come l’espressione oggettiva, sensibile, contemplata e perciò al di sopra di ogni dubbio, della mia perdita di me stesso e della mia impotenza.

Testo estratto dalle pagine 210-211 di: Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, e altre pagine su lavoro e alienazione , a cura di Enrico Donaggio e Peter Kammerer,
Feltrinelli, Milano, pagg. 272, in libreria dal 23 maggio

«Pochi spettacoli sono più avvincenti , per chi è sensibile al fascino delle idee, di un grande pensatore per la prima volta alle prese con problemi nuovi, in caccia di prospettive e soluzioni inedite» scrivono Enrico Donaggio e Peter Kammerer, in questa nuova edizione dei Manoscritti economico filosofici che Feltrinelli manderà in libreria il prossimo 23 maggio (un’edizione arricchita di molti inediti rispetto alla prima edizione, anch’essa pubblicata postuma nel 1932).
Qui riprendiamo il passaggio dove Marx formula per la prima volta la categoria di feticismo della merce. Una scoperta che cambia radicalmente i suoi interessi. Il concetto che motiva Marx, fino a quel momento immerso nei problemi della filosofia, a scegliere l’economia come disciplina chiave per spiegare l’essenza dell’agire umano. Una dinamica affascinante e terribile al tempo stesso dove l’economia si manifesta attraverso l’indicazione della sua patologia: sono le merci a impadronirsi degli uomini fino a ridurli a cose. Il compito dello studio critico dell’economia è farli tornare ad essere di nuovo persone.
David Bidussa