Il Sole Domenica 29.4.18
KARL MARX: il bicentenario
Intellettuale Capitale
A
200 anni dalla nascita, e dopo la rivoluzione dell’89, il pensiero del
filosofo sembra lontano. Ma la sua critica dialoga con le teorie della
giustizia di oggi
di Mario Ricciardi
Nell’aprile
del 1895, Antonio Labriola comincia a redigere quello che diventerà uno
dei suoi scritti più famosi: In memoria del Manifesto dei comunisti. A
spingerlo a intraprendere questo lavoro è l’avvicinarsi del
cinquantesimo anniversario della pubblicazione dell’opuscolo di Marx ed
Engels la cui «forza germinativa» – l’espressione è di Labriola –
avrebbe dato un contributo decisivo alla trasformazione di uno dei tanti
gruppuscoli rivoluzionari che davano filo da torcere alle autorità
europee intorno alla metà del diciannovesimo secolo in una forza
politica di straordinaria efficacia, che avrebbe segnato, nel bene e nel
male, la storia del mondo per più di un secolo.
Rileggere le
pagine del saggio di Labriola oggi, quando ci accingiamo a celebrare i
duecento anni della nascita di Marx, e abbiamo da poco superato i
centosettanta dalla pubblicazione dello stesso Manifesto, è di
straordinario interesse. Labriola ci restituisce un mondo che per molti
versi ricorda quello in cui viviamo, plasmato da una fase di
globalizzazione dell’economia che stava trasformando profondamente i
modi di produzione, i costumi sociali e le istituzioni. Lo scritto di
Marx ed Engels era stato ispirato dall’esplosione dei moti del 1848, che
avevano alimentato negli autori la speranza che la rivoluzione che
avrebbe portato al crollo del Capitalismo, e all’instaurazione di una
nuova società, fosse a portata di mano. La delusione provocata dal
fallimento di quelle insurrezioni, che condussero invece al consolidarsi
delle monarchie continentali e al trionfo della borghesia come nuova
classe dominante, avrebbe spinto Marx ad approfondire lo studio
dell’economia politica, che aveva intrapreso all’inizio degli anni
Quaranta, e all’avvio del cantiere intellettuale che lo avrebbe tenuto
impegnato per il resto della vita: lo studio del Capitale, e delle sue
“leggi” di formazione e sviluppo. La discussione delle tesi del Marx
maturo, e il dialogo con Engels, furono determinanti per la formazione
degli intellettuali della generazione di Labriola. Consolidando in essi
la convinzione che il 1848, come sarebbe stata più tardi la Comune di
Parigi, fossero passaggi necessari di un lungo travaglio, le convulsioni
finali della trasformazione che avrebbe alla fine vendicato la
previsione di Marx relativa all’avvento inevitabile di una nuova era in
cui lo sfruttamento sarebbe stato superato grazie all’avvento del
comunismo. Pochi anni dopo la pubblicazione del saggio di Labriola, il
successo della rivoluzione bolscevica sarebbe diventato il puntello di
questa convinzione per la generazione successiva.
Quando, nel
1918, si celebrarono i primi cento anni dalla nascita di Marx, avvenuta a
Treviri, in Renania, nel maggio del 1818, l’anniversario ebbe un
carattere del tutto peculiare. Per i seguaci non si festeggiava
semplicemente un intellettuale e un attivista politico, ma una figura di
culto, il profeta di un nuovo mondo. Per gli avversari, il capo di una
setta, l’untore che aveva messo in circolazione un virus che correva il
rischio di erodere le fondamenta dell’ordine sociale. Difficile trovare
un esempio migliore di come la prospettiva storica condiziona il nostro
giudizio sugli eventi. Nel 1918 era quasi impossibile, anche per gli
osservatori più lucidi, distinguere Marx dalla storia degli effetti
delle sue azioni e delle sue opere. Intrecciati in modo inestricabile
per amici e nemici. Oggi la situazione è cambiata in modo significativo.
La stessa crisi che ha condotto, dopo un’altra rivoluzione europea, nel
1989, al crollo dei regimi sovietici, è sottoposta al giudizio della
storia, come mostra il bel libro di Timothy Snyder pubblicato nelle
scorse settimane, e questo ci restituisce la libertà di leggere e
valutare Marx in modo nuovo, senza proiettare sulla sua straordinaria
vicenda umana e intellettuale gli effetti di eventi politici che lui ha
senza dubbio contribuito in modo decisivo a mettere in moto, ma di cui
non può certo portare la piena responsabilità morale.
Un
contributo prezioso a questa nuova lettura di Marx portano due lavori di
recente pubblicazione, la splendida biografia di Gareth Stedman Jones
(Karl Marx. Greatness and Illusion, Penguin, Londra 2017) e il saggio
critico di Jonathan Wolff (Perché leggere Marx?, Il Mulino, Bologna
2018). L’autore del primo è uno storico delle idee, che è riuscito,
forse per la prima volta, a scrivere una biografia di Marx che sfugge
alle tentazioni opposte dell’agiografia e della requisitoria d’accusa,
ricostruendo la genesi e lo sviluppo del pensiero di una figura che è
molto difficile catalogare in base alle nostre categorie odierne. Marx è
infatti filosofo, economista, attivista politico, ma ciascuna di queste
attività aveva nel diciannovesimo secolo confini meno definiti di
quelli che le attribuiremmo oggi in base alle nostre convenzioni
accademiche.
La filosofia di Marx è quella di un “giovane
hegeliano” che non si rivolge a un pubblico di professori, e non scrive
per riviste con peer review. L’analisi sfuma nell’invettiva, la scienza
non è una professione ma un complemento di una vita tumultuosa, che
cerca di dar senso e direzione all’indignazione e alla rabbia suscitate
dalle ingiustizie di un modo di produzione che sembra ridurre l’essere
umano a una merce tra le altre. Le pagine più appassionanti del libro di
Stedman Jones sono quelle che coprono gli anni giovanili di Marx, fino
al 1848, il suo corpo a corpo con Hegel, la scoperta di Feuerbach, la
prima formulazione del materialismo storico. Esse ci restituiscono in
pieno la voce di un giovane poco più che ventenne, che esplora il mondo
delle idee con la foga di chi non si accontenta di descrivere il mondo,
perché vuole cambiarlo. Ciò che ne viene fuori è un pensiero pieno di
intuizioni vitali – come quelle sull’alienazione dei manoscritti
filosofici del 1844 – e di “sentieri interrotti” che lo condurranno a un
confronto serrato con l’economia politica dei classici, in particolare
Smith e Ricardo. Questo è forse l’aspetto del pensiero di Marx che meno
ha retto l’usura del tempo. La rivoluzione intellettuale avviata dai
marginalisti a partire dalla fine del diciannovesimo secolo ha eroso i
pilastri su cui si ergeva, in equilibrio precario, l’edificio incompiuto
del Capitale. La teoria del valore, come aveva visto con lucidità
Vilfredo Pareto già al volgere del secolo, sembra resa obsoleta dal
nuovo paradigma che finirà per dominare il Novecento. Anche se non sono
mancati, anche di recente, come nel caso di Piketty, tentativi di
riportare al centro della riflessione economica le idee di Marx, si
fatica a credere che essi possano avere successo. Così come risulta
arduo rivalutare il Marx politico, la sua fiducia nella rivoluzione, la
sua disinvoltura – che va ben oltre quella di Hegel – nel considerare la
violenza come la «levatrice della storia».
Riportandolo al suo
contesto storico, Stedman Jones ci fa capire che Marx è inevitabilmente
diverso da noi. La sua esperienza di agitatore, rifugiato, intellettuale
impegnato porta in primo piano ciò che nella democrazia parlamentare è –
per fortuna? – marginale. Ciò non vuol dire certo che il pensiero di
Marx sia per noi privo di interesse. La critica del modo di produzione
capitalistico che egli propone, liberata dalla pretesa di aver scoperto
le leggi di sviluppo della storia, entra in dialogo fecondo con le
teorie contemporanee della giustizia, come mostra il bel libro di Wolff,
un filosofo di Oxford con un grande talento di divulgatore.
Soprattutto, essa è un salutare antidoto all’autocompiacimento dei
liberali, all’illusione che la storia sia finita negli anni novanta del
Novecento. Anche oggi, come nel 1848, spettri si aggirano per l’Europa.
Marx, che aveva un talento nel riconoscere i sintomi della crisi, non ne
sarebbe stupito.
Gareth Stedman Jones, Karl Marx. Greatness and Illusion , Penguin, Londra, pagg. 750, € 14,61
Jonathan Wolff, Perché leggere Marx? ,
il Mulino, Bologna, pagg. 118,
€ 10,20
Vilfredo Pareto, Il capitale , Aragno, Torino, pagg. 68, € 10
Timothy Snyder, Roads to Unfreedom: Russia, Europe, America , Tim Duggan Books, New York, pagg. 369,
€ 18,91