domenica 15 aprile 2018

Il Sole 15.4.18
Forza e debolezza del sovranismo di Orban
di Sergio Fabbrini


Ciò che è avvenuto domenica scorsa in Ungheria (con il successo del partito della destra nazionalista Fidesz guidato dal primo ministro in carica Viktor Orban) va oltre i confini di quel Paese. Perché? Intanto, perché non è cosa da poco vincere per la terza volta consecutiva le elezioni, ottenendo il 48% dei voti che diventano (per il sistema elettorale adottato) più di 2/3 dei seggi parlamentari. Ma soprattutto perché quel successo è dovuto a una strategia sovranista innovativa. Per Orban, non si tratta di scegliere tra integrazione e disintegrazione, come sostenevano i leader nazionalisti britannici. I costi della secessione britannica hanno ridimensionato drasticamente quella scelta. Piuttosto, per Orban, si tratta di recuperare la sovranità nazionale senza uscire dall’integrazione sovranazionale.
Vale la pena di capire meglio il significato europeo della vittoria di Orban, per quindi individuarne i punti di debolezza.
Ci sono ragioni specifiche che hanno condotto al successo elettorale di Fidesz. Basti pensare al controllo governativo dei principali media del Paese, all’uso spregiudicato (da parte del partito di governo) di risorse pubbliche a fini elettorali, alla campagna ossessiva contro le minacce islamiche oppure contro i complotti di ricchi finanzieri ebrei o contro l’invadenza delle organizzazione non-governative straniere. Tuttavia, quel successo riflette un consenso più generale del Paese nei confronti della politica (definita dallo stesso Orban come «illiberale») condotta sin dal 2010. Una politica consistita nella celebrazione della sovranità nazionale così come è interpretata dal governo di Fidesz. Persino l’esistenza di un potere giudiziario indipendente è stato vista come una minaccia all’unità del Paese. Tant’è che Fidesz, in virtù della maggioranza qualificata che ha avuto in Parlamento, ha potuto legalmente modificare la formazione della stessa corte costituzionale (Magyarország Alkotmánybírósága), sottoponendola al controllo politico del governo. La corte è così diventata un’alleata di Orban nel difendere il principio della preminenza del diritto interno su quello europeo (principio che costituisce il cuore del sovranismo). Ad esempio, la corte (in una sentenza del dicembre 2016) sostenne la decisione del governo Orban di non applicare in Ungheria lo schema della rilocazione dei rifugiati così come stabilito da una decisione europea.
Il contrasto all’immigrazione è cruciale nella visione sovranista di Orban, al punto che Fidesz ha condotto una campagna elettorale esclusivamente su questo tema. Un tema che, seppure avesse scarse giustificazioni empiriche (nel 2016, l’ultimo anno per cui si dispongono dati ufficiali, gli stranieri in Ungheria erano 23.803, la metà dei quali provenienti da altri Paesi europei, su una popolazione di quasi 10 milioni di abitanti), ha rafforzato la paura degli ungheresi di essere invasi da flussi migratori incontenibili. In nome della sovranità territoriale nazionale, Orban ha quindi denunciato le autorità europee per non fare abbastanza «per difendere l’Europa». Tale denuncia, però, è stata fatta in nome dell’Unione europea (Ue), non contro di essa. Fidesz è infatti una componente del principale partito europeista, lo European People’s Party, che aggrega tutti i partiti cristiano-democratici europei. A una riunione di questo partito, tenutasi il 30 marzo 2017 a Malta, Orban disse: «noi siamo grati a Dio per averci fatto ricongiungere con l’Europa e per averci fatto divenire membri dell’Unione europea». Opporsi all’Ue dall’interno del tradizionale partito europeista costituisce la carta vincente del sovranismo di Orban. Così vincente che Angela Merkel e Jean-Claude Juncker non hanno mai reagito alla sua politica illiberale. I 12 seggi che Fidesz ha nel Parlamento europeo sono infatti importanti per garantire la maggioranza che sostiene Juncker alla testa della Commissione europea. Si consideri invece il caso della Polonia, che pure persegue una politica altrettanto illiberale di quella ungherese. Poiché il partito al governo in Polonia (Legge e Giustizia o PiS) è membro, nel Parlamento europeo, di una coalizione poco significativa (Alliance of Conservatives and Reformists in Europe o Acre), il risultato è che per la Polonia la Commissione ha aperta la procedura d’infrazione per violazione dello stato di diritto, mentre non ha fatto ciò per l’Ungheria.
Insomma, Orban ha creato un modello politico che rivendica la preminenza degli interessi nazionali, su questioni ritenute cruciali, rispetto a quelli europei. Un modello che combina l’autoritarismo con il sovranismo. Un modello protetto dalla affiliazione di Fidesz al principale partito europeista. È probabile che altri partiti sovranisti seguiranno il modello di Orban, cercando di entrare nello European People’s Party oppure facendo di quest’ultimo il loro punto di riferimento. C’è già un dibattito in corso nel Partito della libertà austriaco (Freiheitliche Partei Österreichs o FPÖ) e persino nel centro-destra italiano (la Lega potrà difficilmente prenderne la leadership rimanendo nel partito lepenista di Europe of Nations and Freedom o Enf). Dopo tutto, la logica dello spitzenkandidaten spingerà i partiti europei verso aggregazioni sempre più grandi. Tuttavia il modello sovranista ha non pochi punti di debolezza. Innanzitutto, l’entrismo nello European People’s Party potrebbe produrre un effetto contrario a quello desiderato. Se la presenza, in quel partito, di sovranisti come Orban è accolta con calore dai cristiano sociali bavaresi (Csu) di Horst Seehofer, essa incontra un’accoglienza molto più fredda da parte dei cristiano democratici (Cdu) di Angela Merkel. L’entrata di altre forze sovraniste (come la Lega e Fratelli d’Italia) in quel partito potrebbe spingere le componenti tradizionalmente europeiste del mondo cristiano-democratico verso il nuovo raggruppamento europeista di Macron. Con l’esito di isolare di nuovo i sovranisti. In secondo luogo, la conciliazione della sovranità nazionale con la persistenza del mercato unico, come rivendicato da Orban, è altamente improbabile. Se le corti nazionali avessero il potere di nullificare una decisione europea, la conseguenza sarebbe la segmentazione (e quindi l’implosione) del mercato comune. Un esito che incontrerebbe poco consenso elettorale. In terzo luogo, la diffusione del sovranismo aumenterebbe le divisioni tra i Paesi europei, in particolare di fronte a sfide cruciali come quella della sicurezza. Come si è visto ieri nell’attacco a basi siriane, i sovranisti hanno sostenuto la Russia e non già l’Europa. Rientrare nella sfera d’influenza russa non sembra essere, però, una ricetta popolare. In conclusione, Orban ha creato un modello politico che ha un’indubbia capacità di attrazione. Tuttavia, quel modello è destinato a scontrarsi, prima o poi, con le conseguenze politiche del suo stesso successo elettorale.