Il Fatto 15.4.18
Goffredo Bettini. L’ex braccio destro di 
Veltroni dopo il rinvio dell’assemblea dei democratici: “Siamo immobili,
 un errore grave”
“Il Pd ha fallito e va rifatto: Renzi prenda la sua strada”
intervista di Paola Zanca
Anche
 se negli ultimi quarant’anni è stato consigliere comunale, regionale, 
deputato, senatore, coordinatore nazionale del Pd e oggi siede 
nell’Europarlamento, Goffredo Bettini è sempre stato un protagonista del
 dietro le quinte. Per i nemici è un burattinaio, per gli estimatori un 
maestro. Influente, di certo, lo è stato; e ancora oggi, offre al Pd una
 ricetta per rimettersi in piedi, sempre che qualcuno abbia voglia di 
starla a sentire.
Cos’ha sbagliato il Pd?
Da parte nostra 
non c’è stata nessuna analisi seria dei motivi del nostro fortissimo 
arretramento. Si è detto: c’è una crisi mondiale delle forze 
progressiste, Renzi ci ha salvato da un risultato che poteva anche 
essere peggiore. Io invece credo che siamo un partito condizionato dalla
 lotta tra correnti, che ha completamente perso l’empatia verso chi 
soffre.
Ha perso la stessa ragion d’essere della sinistra?
Per
 certi aspetti, sì. I modelli da imitare sono diventati i vincenti, ci 
siamo avvicinati alle élite della finanza, ci stanno simpatici i 
Marchionne e i Briatore. Ma la sinistra nasce dall’insopportabilità 
persino psichica dell’ingiustizia!
Colpa di Matteo Renzi?
Renzi
 ha fatto tutta la campagna elettorale sul binomio speranza contro 
rabbia: ma occorre accettare la rabbia, includerla, cercare di 
trasformarla in speranza. Altrimenti dipingi un mondo che non c’è e la 
gente che vive nel mondo che c’è, ti gira la spalle.
All’inizio lei lo stimava.
Ha
 levato una certa patina grigia che il Pd aveva accumulato. Ma subito 
dopo si è chiuso in una cerchia di fedelissimi e ha reso inutili tutte 
le sedi di confronto, occupando tutte le posizioni strategiche nel 
partito e nelle istituzioni. C’è chi, sbagliando, ha deciso di 
andarsene. E chi è rimasto ha fatto fatica a far sentire la propria 
voce.
Alla minoranza non è mancato anche il coraggio?
Andrea
 Orlando ha fatto una battaglia coraggiosa sui contenuti. Ma in un 
partito così asfissiante non c’è spazio di approfondimento reale, non 
c’è una comunità reattiva, sincera. C’è un imperatore e i suoi feudatari
 sul territorio.
Renzi si è dimesso, ma ancora l’altroieri ha ottenuto il rinvio dell’assemblea.
Un
 errore grave, che dà un ulteriore segno del nostro immobilismo 
politico. Il segretario che ha portato il partito a questi livelli di 
consenso vuole continuare a fare il dominus. Nel 2009 quando mi sono 
dimesso da coordinatore nazionale del partito, perché si era dimesso 
Veltroni, avevamo alle spalle un risultato del 34% (alle Politiche del 
2008, ndr). Eppure, da quel momento in poi, noi ci siamo fatti da parte.
 Personalmente sono rimasto isolato e non ho fatto nessuna azione 
organizzata per interferire sul partito.
Veltroni promise di andare in Africa.
Non
 è partito perché la sua vita è tutta qui. Ma, in questi anni, ha sempre
 dato il suo contributo in positivo. Oggi prevalgono i conflitti e 
persino acerrime inimicizie.
Parla ancora di Renzi?
Dico che
 se vuole fare Macron, non ne farei un dramma. Ognuno per la sua strada.
 Poi al governo ci si potrebbero pure alleare, sempre meglio che con 
Forza Italia.
È il fallimento del Pd, così come lo avevate pensato?
Alla
 prova dei fatti, la spinta del partito democratico è durata fino alle 
dimissioni di Veltroni. Come con l’Ulivo, è finita presto.
E gli altri, i non renziani, che dovrebbero fare?
Il
 partito nella forma attuale va azzerato: va bene che resti Martina per 
questa fase di navigazione, in vista del congresso. Poi però deve 
cambiare tutto.
Si candiderà anche un suo “figlio” politico, Nicola Zingaretti, da molti considerato l’ultima carta per il Pd.
Io
 su Zingaretti ho difficoltà a esprimermi. È la persona a cui ho 
dedicato più tempo nel corso della mia vita, lo stimo molto. Ma mi sono 
accorto nel corso degli anni che sono pieno di ferite, perché mi sono 
sempre assunto le responsabilità mie e anche quelle degli altri e ho 
pagato dei prezzi. Avverto di essere ingombrante. Darò una mano a 
Zingaretti nella misura in cui mi sarà chiesta.
Basta un nome?
No.
 Ma conta poco persino il programma che annunci. Puoi dire le cose più 
di sinistra e prendere il 3%, l’esperienza di LeU insegna. Bisogna 
ripartire dalla base della piramide e con una nuova struttura. Immagino 
dei comitati misti in cui insieme ai nostri militanti, ci siano 
rappresentanti del mondo del lavoro, delle associazioni, della ricerca, 
della cultura, in quote proporzionali del 25% l’una. A loro dovremmo 
dire: ‘Discutete, indagate, proponete. Ma alla fine fate deliberare in 
nuovi luoghi di incontro, in vere e proprie agorà, le persone 
nell’esercizio della loro responsabilità individuale’. È un nuovo 
processo costituente. Dopo dieci mesi dovremmo dire: ecco, questo è il 
Pd.
Non lo hanno già fatto i Cinque Stelle questo lavoro?
No,
 loro sono totalmente un’altra cosa. Non li sottovaluto: hanno vinto le 
elezioni e hanno svolto una funzione politica importante. Ma lì siamo di
 fronte al massimo della concentrazione della volontà politica in 
pochissime mani e a una sorta di sondaggio in Rete, tra l’altro di 
dimensioni abbastanza modeste, che produce una democrazia della 
solitudine.
Quindi lei non crede che si possa dialogare con loro, fare un patto di legislatura?
Noi
 non possiamo condividere i ministri con loro né contrattare accordi. Ma
 l’immobilismo non è una posizione politica: se il presidente della 
Repubblica ce lo chiedesse, dovremmo dire che siamo disposti a far 
partire un loro governo, senza avere nulla in cambio, ma ponendo delle 
condizioni di merito utili per l’Italia, in particolare sui temi 
sociali. Metterli sulla graticola, questo dovremmo fare, lasciandoci 
liberi in Parlamento di giudicare provvedimento per provvedimento.
 
