il manifesto 8.4.18
Arrestato dalla gendarmeria pontificia monsignor Capella
Vaticano. Emesso il mandato di cattura con l'accusa di pedopornografia per l’ex addetto alla nunziatura apostolica a Washington
di Luca Kocci
È
 stato arrestato ieri in Vaticano dalla gendarmeria pontificia monsignor
 Carlo Alberto Capella, fino a pochi mesi fa secondo segretario della 
nunziatura apostolica a Washington. L’accusa è grave: pedopornografia. 
Il reato sarebbe stato commesso in Canada, in occasione di un viaggio in
 Ontario nel periodo in cui il prelato lavorava appunto all’ambasciata 
vaticana nella capitale Usa.
Ne ha dato notizia un comunicato 
della sala stampa della Santa sede in cui si informa che, «su proposta 
del promotore di giustizia» (una sorta di pubblico ministero), «il 
giudice istruttore del tribunale dello Stato della Città del Vaticano ha
 emesso un mandato di cattura a carico di mons. Capella. L’imputato è 
detenuto in una cella della caserma del Corpo della gendarmeria, a 
disposizione dell’autorità giudiziaria». L’ordine di arresto è stato 
emanato sulla base dell’articolo 10 del codice penale pontificio, che 
punisce «chiunque, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, 
distribuisce, divulga, trasmette, importa, esporta, offre, vende o 
detiene per tali fini materiale pedopornografico, o distribuisce o 
divulga notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo 
sfruttamento sessuale di minori».
L’arresto di Capella non giunge 
come il proverbiale fulmine a ciel sereno. Il diplomatico vaticano era 
sotto indagine della magistratura pontificia – ma anche di quella 
statunitense e canadese – da diversi mesi. La prima segnalazione era 
arrivata dal Centro nazionale di coordinamento contro lo sfruttamento 
dei bambini della polizia canadese. Capella era indiziato di possesso e 
distribuzione di materiale pedopornografico, diffuso in rete durante un 
soggiorno che il prelato aveva effettuato in Canada tra il 24 e il 27 
dicembre 2016, utilizzando il computer di una parrocchia di Windsor 
(Ontario), a cui si era risaliti mediante l’indirizzo Ip. Poi il 21 
agosto 2017, per via diplomatica, il Dipartimento di Stato Usa aveva 
notificato al Vaticano la possibile violazione delle norme in materia di
 immagini pedopornografiche da parte del diplomatico. E la Santa sede, 
poco prima che in Canada fosse emesso un ordine di arresto, aveva 
richiamato il prete in Vaticano, «secondo la prassi adottata dagli Stati
 sovrani», come precisato in una nota della sala stampa il 15 settembre 
2017, aprendo contestualmente un’indagine, in collaborazione con le 
autorità canadesi e statunitensi.
L’inchiesta si è chiusa e per 
Capella è scattato l’arresto. Se sarà rinviato a giudizio, come appare 
molto probabile, verrà processato in Vaticano. Rischia una pena da uno a
 5 anni di reclusione e una multa da 2.500 a 50mila euro, che potrà 
essere aumentata perché il materiale pedopornografico detenuto e diffuso
 sembra di «ingente quantità». Resterà da vedere come si comporterà la 
Santa sede se da Usa e soprattutto Canada arriverà la richiesta di 
processare Capella: lo spedirà oltreoceano a rispondere ai magistrati 
oppure, essendo stato giudicato in Vaticano, considererà chiusa la 
questione? In tal caso, allora, invece di «tolleranza zero», sarebbe più
 corretto parlare di processo entro le mura vaticane per sottrarre un 
proprio diplomatico alla giustizia canadese. Ma ora è presto per dirlo.
A
 breve per la Santa sede potrebbe aprirsi anche un altro fronte, 
stavolta nel Pacifico. Nei prossimi giorni, infatti, il tribunale 
australiano di Melbourne dovrà decidere se incriminare per pedofilia il 
cardinale George Pell. Formalmente Pell è ancora prefetto della 
Segreteria per l’economia (il superministero vaticano per l’economia), 
ma papa Francesco ha congelato il suo incarico e lo ha inviato in 
Australia per rispondere ai magistrati.
Il cardinale nelle scorse 
settimane è stato interrogato in aula. Dopo il 17 aprile accusa e difesa
 presenteranno le loro conclusioni e subito dopo i giudici decideranno 
se ritenere Pell estraneo alle accuse oppure andare avanti con il 
processo. In quest’ultimo caso per la Santa sede sarebbe un terremoto.
 
