La Stampa 8.4.18
Pedopornografia, il Vaticano arresta il monsignore-diplomatico
Accusato
nel 2017, Capella era stato fatto rientrare da Washington Gli
investigatori: ingente materiale su pc e smartphone del prelato
di Andrea Tornielli
Monsignor
Carlo Alberto Capella, il 50enne diplomatico della Santa Sede in
servizio nella nunziatura apostolica di Washington, accusato nel
settembre 2017 di possesso di materiale pedopornografico, è stato
arrestato ieri mattina in Vaticano, dove si trovava da mesi. Il mandato
di cattura è stato eseguito dalla Gendarmeria vaticana.
«L’imputato
- si legge nel comunicato diffuso dalla Sala Stampa vaticana - è
detenuto in una cella della caserma del Corpo della Gendarmeria, a
disposizione dell’autorità giudiziaria. L’arresto giunge al termine di
un’indagine del Promotore di Giustizia. Il Giudice Istruttore ha
ordinato il provvedimento sulla base dell’articolo 10, commi 3 e 5,
della legge VIII del 2013».
Lo scorso 15 settembre era stata la
Santa Sede a rivelare l’apertura di un fascicolo da parte della
magistratura vaticana nei confronti del prelato, dopo che il
Dipartimento degli Stati Uniti aveva notificato un possibile reato
legato alla pedopornografia. Contro monsignor Capella era stato anche
spiccato un ordine di arresto dalle autorità canadesi per detenzione e
diffusione di materiale pedopornografico. La polizia della città di
Windsor, in Ontario - al confine con gli Usa - aveva accusato il prelato
di aver scaricato materiale contenente pornografia infantile durante un
soggiorno canadese nel corso delle festività natalizie del 2016.
Capella, secondo gli inquirenti, avrebbe usato l’«indirizzo di un
computer in una chiesa locale» mentre soggiornava presso una parrocchia.
Il
monsignore in servizio a Washington, nella rappresentanza diplomatica
della Santa Sede presso gli Usa, era stato fatto rientrare subito a Roma
e da fine settembre risiedeva in Vaticano, nel Collegio dei
Penitenzieri, ma non in stato di arresto. In questi mesi i magistrati
vaticani - il promotore di giustizia Gian Piero Milano e l’aggiunto
Roberto Zanotti, e il giudice istruttore Paolo Papanti Pellettier -
hanno condotto approfondite indagini con il supporto Gendarmeria guidati
dal comandante Domenico Giani. Un’inchiesta non semplice, che ha
analizzato tutti i computer e smartphone in uso al prelato, oltre che le
risultanze presentate dagli inquirenti statunitensi e canadesi.
Capella,
nato a Carpi nel luglio 1967 da una famiglia originaria di Rho,
ordinato prete per la diocesi di Milano nel 1993, dopo essere stato
responsabile della Sezione italiana della Segreteria di Stato per i
rapporti con gli Stati era diventato nel 2016 consigliere di nunziatura a
Washington.
L’arresto di ieri, in attesa del processo che si
presume possa iniziare in tempi brevi, sta a significare che i
magistrati vaticani hanno trovato i riscontri all’accusa di detenzione e
scambio di materiale pedopornografico e che questo materiale era di
«ingente quantità». La legge VIII che punisce la pedopornografia - sulla
scia dell’adeguamento iniziato da Benedetto XVI - era stata promulgata
da Papa Francesco nel luglio di cinque anni fa. E la decisione di
procedere con l’arresto di un monsignore del servizio diplomatico che
già risiedeva in Vaticano indica la volontà di non concedere sconti o
impunità a quanti commettono questi reati.
Non è la prima volta in
tempi recenti che un esponente del corpo diplomatico della Santa Sede
finisce sotto processo. Era accaduto anche con l’arcivescovo polacco
Jozef Wesolowski, nunzio nella Repubblica dominicana, accusato di abusi
su minori, ridotto allo stato laicale, che doveva essere processato
dalla magistratura vaticana e risiedeva nel Collegio del Penitenzieri
dove è morto stroncato da un infarto nell’agosto di tre anni fa, prima
dell’inizio del processo.agistrati vaticani hanno trovato i riscontri
all’accusa di detenzione e scambio di materiale pedopornografico e che
questo materiale era di «ingente quantità». La legge VIII che punisce la
pedopornografia - sulla scia dell’adeguamento iniziato da Benedetto XVI
- era stata promulgata da Papa Francesco nel luglio di cinque anni fa. E
la decisione di procedere con l’arresto di un monsignore del servizio
diplomatico che già risiedeva in Vaticano indica la volontà di non
concedere sconti o impunità a quanti commettono questi reati.
Non è
la prima volta in tempi recenti che un esponente del corpo diplomatico
della Santa Sede finisce sotto processo. Era accaduto anche con
l’arcivescovo polacco Jozef Wesolowski, nunzio nella Repubblica
dominicana, accusato di abusi su minori, ridotto allo stato laicale, che
doveva essere processato dalla magistratura vaticana e risiedeva nel
Collegio del Penitenzieri dove è morto stroncato da un infarto
nell’agosto di tre anni fa, prima dell’inizio del processo.