il manifesto 7.4.18
«Renzi ci lasci lavorare o ritiri le dimissioni». Nel Pd parte la mischia
Democrack.
L’ex leader indeciso fra Martina e un futuro segretario più fedele
Orlando lo attacca ma finisce sotto accusa dagli ultrà del giglio. Il
senatore "semplice": «Non farò uscite pubbliche fino al 21 aprile quando
parlerò in assemblea»
di Daniela Preziosi
ROMA
L’immagine di un futuro segretario in balia del predecessore e dei suoi
ultrà non era edificante. Né quella del «caminetto renziano», ovvero i
capicorrente di maggioranza Pd, riuniti in uno studio di Via Veneto per
litigare su chi sarà il prossimo leader e come sarà eletto:
dimostrazione plastica del fatto che Renzi stavolta non riesce a mettere
ordine fra i suoi ma comunque non ha mai smesso di dirigere il partito.
Nonostante le dimissioni e la promessa di «due anni di silenzio».
LA
MINORANZA DEM ci ha messo una notte per realizzare che Martina, sul
quale stava dirigendo i propri voti all’assemblea del 21 aprile, era
gradito a Renzi proprio perché ritenuto «controllabile». Poi finalmente
ieri mattina il ministro Andrea Orlando, all’uscita da Palazzo Chigi, ha
acceso le polveri: «Renzi deve decidere: se ritiene che la colpa di
questa sconfitta non sia la sua, che sia la mia o dei cambiamenti
climatici, allora deve ritirare le dimissioni e continuare a esercitare
il mandato avuto dagli elettori». In caso contrario si dimetta davvero e
consenta «a chi pro tempore ha avuto l’incarico di poterlo esercitare».
CON
ORLANDO si schierano Gianni Cuperlo e Francesco Boccia (area Emiliano):
«Martina sta facendo un buon lavoro, dobbiamo tutti aiutarlo a gestire
la transizione». Contro di lui invece sui social si scatena la
contraerea renziana: «Orlando vorrebbe per Renzi ritiro a vita privata,
come lo vorrebbero Di Maio Salvini Berlusconi Bersani», attacca Michele
Anzaldi. Il ministro prova a replicare: «Convocare 3/4 della delegazione
che è andata al Quirinale senza il segretario reggente produce un
messaggio ben preciso che sono certo non ti sfuggirà». Ma la risposta è
una goccia nel mare. Ciascuno regola un suo conto. Riescono fuori
vecchie ruggini, come quella di Raffaella Paita, corregionale del
ministro e sconfitta alla regione Liguria, che lo sfida a ripresentarsi a
congresso: «Lì sì che potrai mostrare quanto vali al nostro paese».
MARTEDÌ
È CONVOCATA la riunone dei gruppi parlamentari in vista del secondo
giro delle consultazioni del Colle. Dal Nazareno spiegano che la linea
resta quella: la strategia «dell’arrocco» voluta da Renzi sta
funzionando: più il Pd sta fermo, più è chiaro che il problema non
riguarda i dem. Tanto più che tutto il partito – tranne Emiliano – è
sulla linea dell’opposizione. Almeno per ora.
Ma la partita del governo del paese rischia paradossalmente di finire in secondo piano rispetto a quella del governo del Pd.
IN
QUESTE ORE RENZI fa la parte del paciere: «Calma e gesso». Insieme a
Matteo Orfini: «Non abbiamo bisogno di alimentare tensioni e polemiche
interne, che già tanto male hanno fatto in passato al Pd». E Lorenzo
Guerini: «Consiglierei a tutti, a partire da me stesso, di darci una
calmata». La verità però è evidente: è bastata una iniziativa dell’ex
segretario – la convocazione della riunione della maggioranza – per far
saltare la fragile tregua firmata dal partito intorno a Martina.
I
RENZIANI SONO DIVISI fra quelli che preferiscono appoggiare un
segretario considerato travicello come Martina, eletto dall’assemblea
(dove l’ex leader controlla ancora quasi il 60 per cento dei delegati) e
che fa proclami di «collegialità» ma di fatto si offre come garante di
Renzi e dei suoi. E quelli invece che puntano su un nuovo segretario,
possibilmente ancora più fedele a Renzi e in grado di sventare la
«derenzizzazione» del partito. Ma senza convocare un congresso vero, con
le primarie che garantiscono un mandato pieno, non si trova il
candidato. Delrio si è già sfilato, Guerini pure, nel pomeriggio spunta
l’ipotesi di Rosato ma rasenta la provocazione («Mister Rosatellum»
partirebbe fra i fischi di mezza Italia). Matteo Richetti oggi a Roma
farà il suo appello contro «il rischio di estinzione del Pd» ma per
lanciarsi nella corsa chiede l’apertura dei gazebo. Dall’area della
minoranza anche Nicola Zingaretti batte un nuovo colpo, per non
rischiare di perdere il treno dell’eventuale congresso. La confusione è
tanta. Delrio, che passa per un moderato, stavolta è sulle barricate
delle primarie che fatalmente toglierebbero di scena Martina. Ma però
poi racconta ai colleghi che «Maurizio non è indebolito».
MARTINA
IN EFFETTI «REGGE» l’assalto di chi lo vuole archiviare. Ma soprattutto
«regge» la linea politica dell’opposizione a prescindere, che è quello
che gli chiede Renzi. Prova a mediare agitando un fazzoletto bianco
mentre le opposte trincee si sparano colpi sul suo nome. «Chiedo di
fermare discussioni e polemiche sbagliate e di rimanere concentrati sul
nostro lavoro», dice, «Chiedo unità e offro collegialità, perché abbiamo
bisogno di questo e non di dividerci», «Qui c’è da dare una mano
insieme per costruire il nostro rilancio nel paese. Possiamo farcela».
RENZI
NON HA ANCORA DECISO, chi sarà il prossimo segretario e come sarà
eletto. Cioè di fatto il Pd non ha ancora deciso: «Per quanto mi
riguarda non farò uscire pubbliche fino al 21 aprile quando parlerò in
assemblea», confida ai suoi.