Il Fatto 7.4.18
La domanda è: ma perché Renzi odia così tanto il Pd?
di Antonio Padellaro
Mi
giunge una vibrata protesta (di alcuni) tra i dieci lettori per la
pochezza di questo diario. Non vi trovano (dicono) neppure una stilla di
quei succosi retroscena che movimentano le informatissime cronache
degli altri giornali. Mai nulla di insolito, di sorprendente, di
veramente sensazionale come, ad esempio, lo strepitoso incipit del
grande Francesco Merlo su Repubblica, direttamente dalla stanza
presidenziale. Là dove “Mattarella ha stretto la destra di Di Maio con
la sua destra e poi ci ha messo sopra anche la sinistra in modo da
attrarlo a sé. Ed è stato”, leggiamo, “quel tocco delle mani, il momento
di maggiore comprensione tra i due soggetti smarriti”.
Si resta
senza parole di fronte a un’istantanea così autentica (sembrava di
essere proprio lì, nel palmo delle due mani destre e di quella sinistra)
che nell’intimità dell’atto coglie il reciproco turbamento del presente
(non so cosa voglia dire ma suona bene). Attrazione del tocco e del
ritocco che forse soltanto Tvboy aveva intuito nel famoso murale di
Matteo Salvini che bacia in bocca Luigi Di Maio, sollevandogli il viso
con le delicate manone. Il Capo Politico, dunque, che oggetto del
desiderio politico trasversale, ancora oggi può scegliere tra forni
diversi dove acquistare il pane, e fare un governo.
Concentriamoci
un attimo sulla rivendita Pd, poiché solo se dovessero trovarla ancora
sbarrata i Cinque Stelle passeranno al negozio successivo (governo con
Salvini ma senza Silvio Berlusconi). Ma se anche qui andasse male non
resterebbe (a tutti quanti) che il supermarket delle nuove elezioni.
Che
al Nazareno e dintorni sia in corso la solita rissa tra contrari e
favorevoli al dialogo coi grillini, è cosa nota. È pure stranoto che
nell’Assemblea nazionale del 21 aprile si assisterà al solito
regolamento di conti per impedire l’elezione alla segreteria
dell’attuale reggente Maurizio Martina. Si cercherà quindi di convocare
un congresso che, visto l’aria che tira, potrebbe essere l’Armageddon
dei Democratici.
Allora la vera domanda è: perché Matteo Renzi –
incarnazione dello spirito del no a tutto ciò che non è lui – odia tanto
il Pd? Non è una provocazione, basta sfogliare il suo album personale.
Prima foto: lui nella Margherita, il Pd non c’è ancora. Seconda foto:
lui che scala il Pd per rottamarlo. Terza foto: lui che sogna il Partito
della Nazione. Quarta foto: lui che progetta l’uscita dal Pd per
costruire un nuovo partito sull’esempio del macroniano “En Marche!”.
Quanto alla serie ininterrotta di disastri elettorali (nei prossimi
giorni si replica in Molise e nel Friuli) viene in mente quella famosa
battuta su Stalin: nessuno ha eliminato più comunisti di lui. Nessuno
come Renzi ha eliminato più elettori Pd.
Del resto, l’odio come
categoria della politica è stato trattato da Massimo Recalcati,
psicoanalista renziano, quando si occupò dell’avversione “smisurata” che
si era scatenata nel Pd contro l’allora segretario. Ma se odio chiama
odio come potrà sopravvivere il partito (qualsiasi partito) a una tale
furia autodistruttiva? E che ne sarà degli elettori superstiti (malgrado
tutto quasi sei milioni), a cui nessuno sembra badare? Infine, esiste
un nesso tra la comprensione tattile di Mattarella per Di Maio e l’odio
nel Pd? Ora mi chiedete troppo.