il manifesto 4.4.18
Ecco come sarà l’Italia in mano ai razzisti
di Guido Viale
Come
 sarà l’Italia in mano a partiti razzisti? Cominciamo a chiedercelo. 
Combattere la solidarietà verso profughi e «stranieri» non la rafforza 
tra i «nativi», ma distrugge anche quella: promuove sospetto, invidia, 
insensibilità per le sofferenze altrui, crudeltà. E affida «pieni 
poteri» a chi governa: non solo per reprimere e tener lontane le persone
 sgradite, ma anche per giudicare sgradite tutte quelle che non 
obbediscono. La società che respinge e perseguita gli stranieri non può 
che essere autoritaria, intollerante, violenta.
La storia del 
secolo scorso ci ha insegnato che questo è un piano inclinato da cui è 
sempre più difficile risalire. Ma che risultati possono raggiungere i 
governi impegnati a fare «piazza pulita» di profughi e migranti? 
Nessuno. La pressione dei profughi sull’Europa continuerà, perché 
continueranno a peggiorare le condizioni ambientali dei paesi da cui 
centinaia di migliaia di esseri umani sono costretti a fuggire a causa 
del saccheggio delle loro risorse e dei cambiamenti climatici che 
colpiscono soprattutto i loro territori. Quel degrado ambientale è anche
 la causa principale delle guerre che creano ulteriori «flussi» di 
profughi: quando le risorse disponibili si riducono, la lotta per 
accaparrarsele si fa più feroce.
«Aiutiamoli a casa loro» non vuol
 dire niente: chi mai li dovrebbe aiutare? Le multinazionali che 
saccheggiano le loro risorse? I tiranni e i governi corrotti che si 
appropriano di quel che resta? Le popolazioni locali che non hanno la 
forza per scrollarsi di dosso quei gioghi? Nessuno di loro, ovviamente; 
solo la volontà di far ritorno nel proprio paese può rendere coloro che 
ne sono dovuti fuggire i «catalizzatori» di una rigenerazione sociale e 
ambientale delle terre dove sono rimaste le loro comunità d’origine.
A
 condizione che profughi e migranti siano accolti bene; messi in 
condizione di collegarsi tra loro, di organizzarsi, di consolidare 
legami con cittadini e cittadine europee, di mettere a punto e far 
valere insieme a loro programmi di pacificazione dei rispettivi paesi e 
di contenimento e di inversione del loro degrado.
Niente di tutto 
ciò è prospettato o perseguito da chi ha ripetuto fino alla nausea 
«aiutiamoli a casa loro»; e meno che mai verrà fatto da chi ha fatto 
campagna elettorale promettendo di cacciare i «clandestini» dall’Italia.
 Quella politica, che abbiamo già vista all’opera con il ministro 
Minniti, non ha fermato gli sbarchi né li fermerà. Perché, anche se 
tutte le navi delle Ong solidali e delle marine europee venissero messe 
nell’impossibilità di operare, l’obbligo di salvare chi è in pericolo in
 mare resterà in capo ai mercantili in transito, come accadeva prima del
 programma Mare Nostrum; e il porto di sbarco non potrà che essere in 
Italia. In compenso ci sono stati e ci saranno sempre più morti, sia in 
mare che nel deserto; che resteranno per sempre sulla coscienza di chi 
non fa niente per cercare di garantire ai vivi una via di transito 
sicura verso l’Europa.
Ma soprattutto ci saranno sempre più 
violenze, torture, ricatti, estorsioni, schiavismo, sia in Libia che in 
tutti i paesi in cui si sta cercando o si cercherà di bloccare il 
transito dei profughi. Respingere i profughi significa renderli schiavi e
 schiave di bande locali o spingerli a farsi reclutare nelle loro 
armate; il che moltiplicherà i conflitti e renderà tutti i territori 
dell’Africa e del Medio Oriente infrequentabili per gli europei, sia 
turisti che tecnici o uomini d’affari. Il modo più sicuro per 
strangolare sia l’economia europea che le loro.
Ma che sarà, poi, 
di coloro che sono già in Italia, o in Europa, come «clandestini»? 
Espellerli tutti è impossibile: costerebbe troppo e chi continua a 
prometterlo lo sa benissimo.
D’altronde, nessun governo dei paesi 
di provenienza è disposto ad accoglierli e anche quelli che firmano 
accordi in tal senso (in cambio molto denaro) non li rispetteranno: quei
 rimpatriati a forza creerebbero solo problemi. Quei respingimenti li si
 può fare, o far fare, solo verso la Libia o verso paesi ridotti nello 
stesso stato: campi di prigionia e tortura a disposizione di un’Europa 
trasformata in fortezza.
Per questo i migranti «irregolari» 
resteranno qui, condannati a una clandestinità permanente, che significa
 costringere centinaia di migliaia di uomini e donne a delinquere, 
prostituirsi, farsi reclutare dalla criminalità organizzata di casa in 
molti ambienti politici (soprattutto quelli che più strillano contro il 
loro arrivo) e anche tra non pochi addetti all’ordine pubblico. È 
questo, e non l’arrivo di nuovi profughi, a creare quello stato di 
insicurezza che i nemici dell’accoglienza e della solidarietà dicono di 
combattere. Essere sempre più feroci con i profughi non fa che 
peggiorare la situazione; il che fa molto comodo a quei governi europei 
che già contano di usare l’Italia come discarica dei migranti che non 
vogliono accogliere, come noi stiamo usando la Libia.
Ma in Europa
 ci sono già decine di milioni di immigrati, recenti e no, molti anche 
già «naturalizzati», cioè cittadini e cittadine europee, che da ogni 
nuova manifestazione di razzismo, o anche di semplice «rifiuto» dello 
straniero, sono indotti a viversi sempre più come un «corpo estraneo» 
nella società; e a covare quello spirito di rivalsa che porta alcuni a 
voler vendicare in qualsiasi modo le sofferenze inflitte ai loro 
connazionali o correligionari.
Non è un caso che foreign fighters e terroristi vengano quasi tutti da comunità già insediate in Europa.
Per
 fermarli non basta la polizia; non si possono controllare tutti. 
Bisogna prevenire; e lo si può fare solo con più rispetto sia per loro 
che per i loro connazionali in cerca di una vita nuova in Europa.
I partiti che hanno governato e quelli che governeranno nei prossimi anni sono chiusi a questo ascolto.
Né
 bastano i sermoni per aprirgliele. È dalla pratica attiva della 
solidarietà che nasce un nuovo modo di vivere.Ed è da una rete di tutti 
coloro che si impegnano in questo campo che può nascere un’alternativa 
reale – sociale, politica e culturale – al disastro in cui ci ha 
trascinato la politica attuale
 
