martedì 3 aprile 2018

il manifesto 3.4.18
«Il giovane Karl Marx», l’uomo, l’azione politica e il lavoro teorico
Cinema. Esce giovedì il film di Raoul Peck dedicato al filosofo tedesco, ambientato negli anni dell’incontro con Engel
di Eugenio Renzi


Esce infine in Italia, giovedì prossimo, il film di Raoul Peck su Karl Marx. Questo piccolo evento non può non intrigare il proletariato italiano. Ma che cosa ha da attendersi da un film uno spettatore di sinistra che ancora non conosce il pensiero del padre della filosofia della prassi ? La difficoltà di ogni biografo del genio di Treviri è data dal fatto che la maniera di presentare i vari aspetti della sua esistenza è inevitabilmente anche un modo di interpretare il rapporto tra la vita privata, l’azione politica e il lavoro teorico.
Ora, in un film in costume, dove l’intreccio ha tendenza a dominare la scena, il rischio è di dare la priorità al romanzo, e quindi di cadere, colore a parte, in un’operetta borghese. Rischio accentuato dalla biografia del fondatore del socialismo scientifico che, in particolare in gioventù, non manca di avventure di ogni genere.
Quando il film comincia, il redattore della «Gazzetta renana» è già sposato con Jenny von Westphalen, l’aristocratica che ha scelto la ribellione alla sua classe, sposando il figlio di un ebreo convertito. La loro storia non evolverà d’un millimetro. Il film racconta invece le circostanze dell’incontro con Engels a Parigi.
I due sono già convinti ammiratori l’uno dell’altro. Devono solo confessarselo. Per il resto, Peck, e il suo sceneggiatore Pascal Bonitzer (ex dei «Cahiers» «époque Mao» e regista a sua volta) hanno cercato di evitare lo schema classico dei biopic: l’ascesa, la disgrazia, la redenzione.
Certo, il futuro fondatore dell’Internazionale passa attraverso vari naufragi economici e politici. È sempre sull’orlo della fame, alla ricerca di qualche soldo per il pane, braccato dalla polizia, costretto all’esilio. Ma la costanza della situazione di povertà e di precarietà è un altro modo per togliere al lato dickensiano il ruolo di trazione del film e dare più spazio agli aspetti teorici.
Ma come si filma la teoria? Peck non ha voluto fare un film pedante. Ha cercato di concentrare lo specifico del pensiero di Marx in un concetto unico che irriga tutto: l’idea del conflitto.
La pellicola comincia con un gruppo di sottoproletari intento a raccogliere legna, falciati da una carica di poliziotti a cavallo. Off, risuona il ragionamento di Marx contenuto in un celebre articolo della Gazzetta Renana scritto contro la nuova legge: «Si stacca dalla proprietà ciò che è già staccato da essa… Voi infatti possedete l’albero, ma l’albero non possiede più quei rami.»
È qui, nel 1842, che Peck sceglie di far cominciare Il giovane Karl Marx. Giovane certo, ma pugnace e inflessibile, in particolar modo con i propri compagni di strada. Alcuni dei quali erano, come Proudhon, delle figure molto amate nel mondo operaio. La ferocia con la quale Marx si sbarazzò di questi suoi concorrenti è nota perché pubblica. Quello che Marx porta al movimento operaio è una solida teoria scientifica, nella quale non c’è posto per il moralismo universalista dei socialisti del suo tempo. Quest’aspetto pratico-teorico nel film di Peck fa tutt’uno con il personaggio. E in questo prende senso l’amicizia con Engels, la quale diventa rapidamente una simbiosi politica e intellettuale.
Il film si chiude con due scene che si guardano come allo specchio, quella in cui Engels impone la linea marxista al congresso della lega dei giusti fondando la lega dei comunisti, con Marx a seguire nell’ombra. E quella in cui viene redatto Il manifesto, in cui a tavola sono in quattro: con Marx al centro e gli altri tre nell’ombra: Engels, Jenny e Mary, l’operaia irlandese con la quale Engels visse fino alla morte di lei.
In questo sforzo di piegare le regole del biopic ad un’ esigenza pratico-teorica, il film è ammirevole.
Il tentativo è quello di restituire tutti i Marx: il genio, l’uomo, il suo pensiero, i suoi limiti – e il suo rapporto speciale con Jenny e con Engels. Ma il risultato è un film che sceglie di scegliere il meno possibile: evita di farsi schiacciare da un materiale potenzialmente infinito, al prezzo di addomesticarne la potenza. Se l’essenza di Marx è la lotta, bisogna dire che Il giovane Karl Marx, dal canto suo, si permette una sola audacia, un po’ tardiva e non particolarmente riuscita: un diaporama finale su Like a Rolling Stone di Bob Dylan, nel quale le parole del Manifesto accendono la miccia del ventesimo secolo e fino a noi.