il manifesto 1.4.18
La frontiera dove l’Europa ha perso l’anima
Alpi, migranti da Bardonecchia verso la Francia
di Marco Revelli
Colle
 del Monginevro, 1.900 metri di quota, a metà strada tra Briançon e 
Bardonecchia. È su questa linea di frontiera che oggi batte il cuore 
nero d’Europa. È qui che la Francia di Emmanuel Macron ha perso il suo 
onore, e l’Europa di Junker e di Merkel la sua anima (quel poco che ne 
rimaneva). In un paio di mesi, in un crescendo di arroganza e 
disumanità, i gendarmi francesi che sigillano il confine hanno messo in 
scena uno spettacolo che per crudeltà ricorda altri tempi e altri 
luoghi.
È appunto a Bardonecchia che si è verificata l’irruzione 
di cinque agenti armati della polizia di dogana francese nei locali 
destinati all’accoglienza e al sostegno ai migranti gestiti 
dall’associazione Rainbow4Africa, per imporre con la forza a un giovane 
nero con regolare permesso in transito da Parigi a Roma di sottoporsi a 
un umiliante esame delle urine, dopo aver spadroneggiato, minacciato e 
umiliato i presenti.
Davanti a quello stesso locale, a febbraio, 
ancora loro, gli agenti di dogana francesi, avevano scaricato come fosse
 spazzatura il corpo di Beauty, trent’anni, incinta di sette mesi e un 
linfoma allo stadio terminale che le impediva il respiro. Aveva i 
documenti in regola, lei, ma non Destiny, il marito, così l’implacabile 
pattuglia l’aveva fatta scendere dal pullman che da Clavier Oulx porta 
alla terra promessa, quella dove lo jus soli avrebbe permesso al loro 
figlio di nascere europeo, e incurante delle condizioni disperate 
l’aveva abbandonata a terra, al gelo.
Ci avevano dovuto pensare i 
volontari di Reinbow4Africa a portarla di corsa all’ospedale e di lì 
alla clinica Sant’Anna di Torino, dove un’equipe medica eccezionale per 
competenza e umanità riuscirà a salvare almeno il bambino, che nascerà 
di 700 grammi e si chiamerà Israel.
Sempre lì, il 10 di marzo, su 
quella frontiera maledetta, sempre loro, i maledetti flic di dogana, 
avevano intercettato l’auto di Benoit Ducos, guida alpina e volontario 
umanitario che aveva appena salvato una donna incinta di nove mesi sul 
sentiero innevato. E avevano provveduto a incriminarlo per un reato di 
umanità che (nel mondo alla rovescia di questo diritto innaturale) 
potrebbe costargli cinque anni. È un uomo solare Benoit Ducos, ha lo 
sguardo chiaro del giusto. «Ho fatto solo una cosa naturale», ha detto. 
Non così coloro che l’hanno perseguito, duri, brutali, sordi a ogni 
richiamo a una qualche sia pur generica idea di solidarietà: così li 
descrive chi li ha visti all’opera.
È impossibile pensare che 
dietro questi comportamenti reiterati non ci sia un ordine dall’alto. 
Che dietro la vergogna del Monginevro non ci sia l’infamia dell’Eliseo, e
 la firma di quell’Emmanuel Macron che a parole si presenta come 
campione di europeismo e di libertà, comprensivo delle ragioni 
dell’Italia e critico della sua solitudine sul tema migranti, ma che nei
 fatti alza muri come un Orbán qualunque. Ma è anche necessario 
aggiungere che al fondo di ogni catena di comando ci sta un uomo, che 
quell’ordine lo esegue. E che chi nella neve dei 1.900 metri ha vessato,
 offeso, esposto alla malattia e alla morte altri esseri umani, 
perseguitato i soccorritori e angariato i fragili, porta per intero la 
responsabilità della propria abiezione.
Non sempre è così. Ci sono
 tempi in cui bene e male in fondo non si rivelano nella loro netta 
opposizione. E ce ne sono altri – questo è uno di quelli – in cui invece
 gli opposti si polarizzano.
“Giusti” e “demoni” appaiono nella 
loro netta opposizione, divisi dal filo di rasoio della scelta. Che sia 
la guida alpina che salva mettendo la propria professione al servizio 
dell’umanità o all’opposto il procuratore della repubblica che incrimina
 chi salva, in mare o sui monti. Che sia il medico che si prodiga per 
salvare una vita o all’opposto un agente che se ne frega e forse si 
compiace nell’ostacolarne il soccorso. L’antitesi è oggi squadernata 
davanti a noi. E a ognuno è chiesto di scegliere.
È un bene che 
oggi in tanti, spinti persino da un qualche senso di orgoglio nazionale,
 si schierino con i nostri “giusti”, e chiedano di far pagare ai 
francesi la loro ingiustizia. Così come è necessario che le nostre 
autorità chiedano conto a quelle francesi delle violazioni gravi 
commesse. Meglio sarà se, da questa lezione, si imparerà a comportarsi 
da giusti quando toccherà a noi – a ognuno di noi, nei territori o in 
Parlamento – testimoniare la propria appartenenza alla schiera eletta di
 chi la giustizia e l’umanità le sa e le intende praticare sempre.
 
