il manifesto 1.4.18
Su Gaza scende il silenzio arabo e dell’Onu
Striscia
di Gaza. Mentre si piangono i giovani uccisi da Israele, dalla comunità
internazionale e dai Paesi arabi giungono segnali deboli a sostegno dei
palestinesi. Il Segretario generale delle Nazioni Unite Guterres
propone una indagine indipendente che gli Usa sono già pronti a bloccare
di Michele Giorgio
GERUSALEMME
«Arabi, musulmani dove siete. Arabi, musulmani dove siete» scandivano
ieri le migliaia di palestinesi che hanno partecipato ai funerali di 14
delle 16 vittime del tiro al bersaglio dai cecchini dell’esercito
israeliano durante la Grande Marcia del Ritorno organizzata due giorni
fa nel Giorno della Terra. «Non ci aspettiamo nulla dagli occidentali
ma il silenzio dei Paesi arabi non lo accettiamo» spiegava ieri Amjad
durante i riti funebri. Amjad invece ripeteva che «la marcia era
pacifica» e che «Israele un giorno sarà punito». Rabbia, dolore,
amarezza segnano in queste ore lo stato d’animo dei palestinesi, non
solo a Gaza. In Cisgiordania ieri si è fermato un po’ tutto in segno di
lutto: negozi, attività lavorative, gran parte dei trasporti. A Hebron
e alla periferia di altre città palestinesi gruppi di giovani hanno
scaricato la loro rabbia scagliando pietre verso le camionette
israeliane. Alla Porta di Damasco di Gerusalemme Est agenti dei reparti
antisommossa della polizia hanno disperso un raduno di un centinaio di
palestinesi, in gran parte donne.
In queste ore si teme per la
vita di non pochi dei 773 palestinesi che venerdì sono stati colpiti
dai proiettili sparati dai tiratori scelti israeliani. Altri 148 sono
stati feriti da munizioni rivestite di gomma, 422 sono rimasti
intossicati dai gas lacrimogeni (lanciati anche dai droni) e altri 88
per cause diverse. Altri dieci palestinesi sono stati feriti ieri. «I
morti sono tutti giovani, tra i 17 e i 35 anni. Ci sono feriti molto
gravi raggiunti all’addome e al torace che lottano tra la vita è la
morte. Chi è stato colpito a una gamba o a un braccio può dirsi
fortunato ma solo in parte perché i proiettili hanno lacerato muscoli e
distrutto vasi sanguigni», ci spiegava ieri Ashraf al Qidra, portavoce
del ministero della sanità a Gaza. I palestinesi gridano al massacro,
pianificato, dicono, con giorni di anticipo da Israele che ha preparato
l’opinione pubblica mondiale descrivendo la marcia a Gaza come una
strategia volta a «compiere atti di terrorismo» e a colpire le
cittadine e i kibbutz ebraici oltre le barriere di demarcazione. Per
questo continuano a postare sui social filmati e foto che mostrano
ragazzi colpiti dai cecchini lontano dalle postazioni militari. Il caso
più limpido è quello di Abdel Fattah el Nabi, 18 anni, ucciso con un
colpo di grande precisione mentre torna dai suoi amici con in mano un
vecchio pneumatico da bruciare. L’esercito israeliano, denuncia il
centro al Mezan, almeno fino a ieri sera non aveva ancora consentito ai
soccorritori di entrare nell’area di Jahr al Dik, nel Wadi Gaza, dove
si troverebbero due dimostranti, Mohammed Al Arabiyeh e Musab Al
Saloul, rimasti feriti gravemente o forse morti.
Da Israele
giungono due condanne della brutalità dell’esercito – del Centro per i
diritti umani B’Tselem e della nuova leader del partito Meretz, Tamara
Zandberg – mentre la reazione internazionale che i palestinesi si
aspettano contro Israele non c’è stata, per non parlare del silenzio
dell’Arabia saudita e delle altre monarchie del Golfo impegnate a
stringere dietro le quinte relazioni militari e strategiche con Tel
Aviv. Il segretario generale dell’Onu Guterres ha chiesto una
«indagine indipendente e trasparente» sui morti di Gaza ma il
Consiglio di Sicurezza venerdì notte si è limitato a chiedere alle
parti in conflitto di evitare altre violenze. Gli Stati uniti frenano
all’Onu sulla condanna di Israele e dall’Europa arrivano dichiarazioni
di routine che non spostano di un centimetro la situazione. «L’Ue
ribadisce la richiesta di porre fine alla chiusura di Gaza e di aprire
pienamente i varchi, affrontando i legittimi timori di Israele per la
sicurezza…Una soluzione politica per Gaza e una ripresa dei negoziati
di pace verso una soluzione a due Stati sono l’unico modo per i
palestinesi e gli israeliani di vivere fianco a fianco in pace e
sicurezza», sono le solite frasi riciclate per l’occasione dalla
“ministra degli esteri” dell’Ue, Federica Mogherini.
La
popolazione di Gaza non accetta più di vivere nel blocco asfissiante in
cui è tenuta da Israele con la collaborazione dell’Egitto e al quale
contribuisce il presidente dell’Anp Abu Mazen che con le sue “sanzioni
punitive” danneggia solo la popolazione civile. E mentre i media,
inclusi alcuni giornali italiani, si affannano a riferire di un “piano”
di Hamas per invadere Israele, per affossare Abu Mazen e parlano di
“guerriglia” sul confine, si tace intenzionalmente che durante la
Grande Marcia del Ritorno gran parte dei circa 30mila partecipanti hanno
invocato la fine dell’assedio e l’inizio di una vita finalmente
libera. All’orizzonte intanto c’è l’ombra di nuova guerra. «Se la
violenza (le proteste palestinesi, ndr) continuerà lungo il confine di
Gaza, Israele espanderà la sua reazione fino a colpire i militanti
anche al di là della frontiera» ha avvertito il generale Ronen
Manelis, portavoce militare israeliano.