il manifesto 14.4.18
I target del Pentagono: raid su basi senza russi e sanzioni all’Iran
Siria.
«Cane pazzo» Mattis si veste da pompiere per evitare lo scontro tra
superpotenze. Le ultime opzioni per frenare l’interventismo della Casa
bianca: missili su siti dell’esercito siriano, comunicati prima al
Cremlino. Il vescovo di Aleppo: «In Siria state facendo quel che avete
fatto all’Iraq»
di Chiara Cruciati
La guerra,
che sembrava imminente, ha rallentato la corsa. A frenarla è James ’Cane
Pazzo’ Mattis, generale dalla biografia non certo pacifista: comandante
dei marines in Iraq, protagonista della sanguinosa battaglia di
Fallujah, ex responsabile militare Usa per il Medio Oriente e il Nord
Africa, «teorico» del piacere di uccidere musulmani, l’attuale capo del
Pentagono da incendiario si è fatto pompiere.
In queste ore,
febbrili, lavora per evitare l’escalation e soprattutto un devastante
scontro con la Russia. Lo fa prendendo tempo, dicendo di voler attendere
le prove del presunto attacco chimico, ma soprattutto valutando altre
opzioni.
Tra queste, raid su basi dove non sia presente personale
russo, centri dove sarebbero depositate armi chimiche (di cui l’Onu nel
luglio 2014 aveva però certificato la rimozione) e altre installazioni.
Centri militari da cui, secondo il fronte anti-Assad, il governo ha
rimosso l’equipaggiamento strategico per spostarlo nelle basi russe di
Latakia, Tartus e Hmeimim, nell’idea di salvarli dalla distruzione.
In
tutto, secondo gli esperti, gli Usa avrebbero individuato circa dieci
target, che verrebbero comunicati prima alla Russia per impedire la
deflagrazione di un conflitto ingestibile. Infine, tra le opzioni non
belliche, nuove sanzioni economiche a Damasco.
Non solo: Parigi,
Londra e Berlino insistono per nuove sanzioni contro l’Iran, forma di
pressione nel caso siriano: l’idea è individuare figure legate alla
guerra siriana da presentare al presidente Trump in cambio di un
attacco.
Intanto ieri lo scontro si è spostato al Palazzo di
Vetro. Sono volate parole grosse, sebbene il clima bellico si stia
stemperando. Durante il vertice di urgenza del Consiglio di Sicurezza,
chiesto giovedì dalla Russia, il più agguerrito è stato l’ambasciatore
francese Delattre, voce del bellicoso presidente Macron, che forse nella
Siria vede ancora una «proprietà» coloniale a cui imporre il futuro.
«Nel
decidere di usare ancora una volta armi chimiche – ha detto Delattre –
il regime ha raggiunto un punto di non ritorno. La Francia si farà
carico delle proprie responsabilità per porre fine all’intollerabile
minaccia alla sicurezza collettiva». Andrebbe ricordato in tale
contesto, mentre le potenze occidentali parlano di necessità di
intervenire in Siria, che l’intervento è già realtà.
Da sette anni
attori internazionali e regionali sono parte attiva del conflitto,
tramite la sponsorizzazione attiva (finanziamenti e armi) di milizie di
opposizione di matrice per lo più islamista. Parigi ha già bombardato la
Siria, dopo la strage del Bataclan, quando colpì Raqqa occupata dallo
Stato Islamico per poi abbandonarla alla propria tragedia.
Da
parte loro gli Usa hanno ucciso dall’agosto 2014 (quando Obama
intervenne a seguito del massacro Isis di yazidi a Sinjar, Iraq, anche
loro presto dimenticati) ad aprile 2018 almeno 16.213 civili tra Siria e
Iraq, secondo i dati della nota ong di monitoraggio delle vittime di
guerra, Airwars.
Dà altri numeri l’ambasciatrice Usa Haley:
Damasco, ha detto, ha usato armi chimiche almeno 50 volte dal 2011,
senza fonire dettagli o prove. Risponde la Russia con l’ambasciatore
Nebenzia che accusa Stati uniti, Francia e Gran Bretagna di utilizzare
la montatura del gas (ieri Mosca ha detto di avere le prove che
dimostrerebbero la responsabilità del Regno unito nell’imbastire lo
«show») per rovesciare il presidente siriano Assad: «Continuiamo a
vedere pericolosi preparativi militari per un atto di forza illegale su
uno Stato sovrano, che costituirebbe una violazione delle leggi
internazionali», ha detto Nebenzia che ha poi chiesto a Washington una
de-escalation per impedire «ripercussioni sulla sicurezza mondiale».
Una
versione condivisa dal vescovo caldeo di Aleppo e presidente della
Caritas siriana, monsignor Audo: «Sia fatta luce su tutto ed emerga la
verità, non come hanno fatto con l’Iraq in cui hanno distrutto il paese
dicendo che c’erano le armi chimiche. Così come hanno fatto con l’Iraq
lo stanno facendo ora con la Siria».