venerdì 13 aprile 2018

il manifesto 13.4.18
La gente di Damasco attende senza ansia le mosse di Trump
Siria. La vita scorre come gli altri giorni nella capitale siriana nonostante le minacce del presidente americano. Le testimonianze di una cooperante italiana e di un giornalista libanese
di Michele Giorgio


I media legati all’opposizione siriana descrivono una Damasco in preda al panico, ‎con i suoi abitanti che si preparano a un devastante attacco militare da parte degli ‎Stati uniti. Gente incollata alla tv, strade vuote e taxisti che fanno fatica a trovare i ‎clienti, questo il quadro fatto, ad esempio, dal sito d’informazione al Hal che ‎sottolinea che i più preoccupati sono i damasceni di Mezzeh, un’area residenziale ‎non lontana da un aeroporto che con ogni probabilità è sulla lista degli obiettivi ‎del Pentagono. Ma le cose non stanno affatto così. Damasco vive giornate uguali ‎alle altre nonostante le minacce di Trump. Proprio a Mezzeh abbiamo raccolto, via ‎telefono, la testimonianza di Monica Mazzotti, una cooperante della Ong di ‎Bologna GVC, in Siria per seguire i progetti della sua organizzazione nei settori ‎dell’istruzione e delle risorse idriche. ‎«Sono alloggiata in un hotel del centro di ‎Damasco – ci ha detto Mazzotti -, questa mattina (ieri) ho preso un taxi per ‎raggiungere l’ufficio del Gvc a Mezzeh, una zona più periferica. Durante il ‎percorso non ho notato nulla di insolito. Tutto normale, il traffico della scuola, dei ‎lavoratori. Poco fa sono andata a comprare un po’ di cose e tutto è assolutamente ‎normale, tranquillo».‎
 La cooperante ha aggiunto di essere rimasta molto sorpresa quando qualche ‎giorno fa è giunta a Damasco. ‎«Non ero mai stata qui prima – ha precisato – e ‎seguendo la crisi siriana dall’Italia o dal Libano mi aspettavo una città impaurita, ‎una popolazione affranta per la guerra, certo un’atmosfera non serena. Ho trovato ‎invece una Damasco viva, le scuole sono aperte, la gente va a lavorare, c’è ‎movimento. La scorsa settimana le strade erano piene per i festeggiamenti della ‎Pasqua (ortodossa). E in questi ultimi due giorni l’atmosfera non è cambiata. ‎Credo i siriani, lo noto anche tra i miei colleghi, si siano abituati al conflitto, ‎perciò affrontano con resilienza la situazione. E ironizzano sulla minaccia di un ‎attacco da parte di Trump che prendono sul serio ma fino a un certo punto».‎
 Una parvenza di vita normale torna poco alla volta anche nella Ghouta ‎orientale, l’area a ridosso della capitale dove sarebbe avvenuto l’attacco con ‎presunte armi chimiche che avrebbe provocato decine di vittime e che Washington ‎attribuisce all’aviazione governativa siriana. Damasco nega con forza e, assieme ‎alla Russia, parla di una messinscena. In varie zone della Ghouta le distruzioni, a ‎causa di bombardamenti aerei e combattimenti, sono enormi, con centinaia di ‎edifici, forse di più, ridotti in macerie. Tanti altri sono danneggiati spesso in modo ‎irreparabile. Tuttavia sta già dando frutti l’uscita dalla Ghouta dei gruppi armati ‎Jaysh al Islam, Ahrar ash Sham, Nusra e Faylaq ar Rahman, formazioni jihadiste e ‎qaediste che in Europa verrebbero considerate terroristiche ma che in Siria i ‎governi e i media occidentali definiscono come “ribelli”. Otto scuole hanno ‎riaperto a Saqba, Kafr Batna, Ayn Tarma, Haza e Harasta e altre lo faranno presto ‎secondo i media locali. Nei prossimi giorni almeno 10mila ragazzi della Ghouta ‎dovrebbe rientrare nelle aule.‎
 «La liberazione della Ghouta aiuta il ritorno alla normalità anche in altre parti ‎della Siria» ci spiegava, sempre ieri, Talal Kraiss, un giornalista libanese in questi ‎giorni a Damasco. ‎«Si passa per la Ghouta per andare dalla capitale a Homs e in ‎altre città o per andare in Giordania e ora le strade sono libere. Nella capitale e ‎nelle aree intorno non c’è alcuna preparazione (in vista del possibile attacco Usa, ‎ndr). La gente va nei caffè come sempre, al mercato, fa le solite cose. Non è ‎cambiato nulla». A giudizio di Kraiss le autorità siriane sono relativamente ‎tranquille. ‎«Alcuni ufficiali della sicurezza che ho incontrato dicono che il motivo ‎per cui Trump ha moderato un po’ i toni è legato all’Iran, al movimento sciita ‎libanese) Hezbollah e all’esercito siriano che hanno promesso che risponderanno ‎ad un attacco contro obiettivi strategici e che la loro risposta sarà contro Israele. La ‎Russia ha fatto sapere al ministro della difesa (israeliano) Lieberman che la ‎reazione all’attacco Usa sarà contro le città israeliane. Per questo Israele che ‎premeva per l’attacco alla Siria ora è più silenzioso e non rincara la dose‎. I siriani, ‎le persone comuni, seguono questi sviluppi e forse questo contribuisce alla ‎nomalità della situazione». ‎
 Trump comunque va avanti e ieri ha annunciato che ‎«Le decisioni saranno ‎prese abbastanza presto‎». Il capo del Pentagono, James Mattis, gli ha presentato le ‎opzioni sulla Siria nel corso di una riunione del Consiglio per la sicurezza alla ‎Casa Bianca. Tra queste ci potrebbero essere anche sanzioni politiche ed ‎economiche.‎