il manifesto 13.4.18
Caos a Washington: «Nessuna decisione su attacco alla Siria»
Medio
Oriente. Dopo giorni ad alta tensione, la Casa bianca prende tempo.
Attivata una linea rossa con il Cremlino. Solo May accelera. La Gran
Bretagna indossa l’elmetto: «Non serve il sì del parlamento per
intervenire». A Ghouta est arriva il team dell’Opac, da domani
raccoglierà campioni per verificare l’uso di gas
di Chiara Cruciati
Sull’incendio
bellico acceso in Siria dai pruriti trumpiani i due fronti ieri
gettavano acqua e benzina. Con l’ennesima retromarcia, doppia, ieri il
presidente Trump ha prima rallentato la corsa interventista contro
Damasco, poi ha confuso di nuovo le carte.
«Non ho mai detto
quando un attacco in Siria sarebbe stato realizzato – aveva scritto in
mattinata su Twitter – Potrebbe essere molto presto o non così presto.
In ogni caso gli Stati uniti, sotto la mia amministrazione, hanno fatto
un gran lavoro contro l’Isis nella regione». Nel pomeriggio, parlando
prima di un vertice con i suoi consiglieri, ha annunciato invece una
decisione «a breve».
Dopo la minaccia di mercoledì di una pioggia
di missili «belli e intelligenti», dietro l’apparente frenata c’è la
frenetica azione diplomatica russa che ieri si è concretizzata nel
rilancio della linea di comunicazione diretta tra Casa bianca e
Cremlino, che fa tornare alla mente la linea rossa istituita durante la
crisi dei missili a Cuba, 55 anni fa.
A comunicarne il pieno
funzionamento è stato il portavoce del governo di Mosca, nell’idea di
evitare un’escalation disastrosa per il Medio Oriente e il globo:
«Continuiamo a ritenere estremamente importante evitare ogni passo che
possa condurre a maggiori tensioni in Siria», ha detto Peskov. Nelle
stesse ore undici navi russe lasciavano la base militare di Tartus per
schierarsi lungo la costa siriana, pronte nel caso di un attacco aereo
statunitense, e Mosca chiedeva per oggi una riunione d’urgenza al
Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
A Washington monta la
preoccupazione e di conseguenza la confusione: la foga bellica – accesa
da un presidente con più di un guaio in casa e da un rimescolamento
dell’establishment che ha visto la nomina di falchi come Pompeo a
segretario di Stato e Bolton a consigliere per la sicurezza nazionale –
deve fare i conti con l’ovvia reazione della Russia, vero ago della
bilancia nella regione.
Da qui il freno tirato: ieri la portavoce
della Casa bianca Sanders, riportando del vertice tra Trump e il capo
del Pentagono Jim Mattis del giorno precedente, ha detto ai giornalisti
che «tutte le opzioni sono sotto esame e una decisione definitiva non è
stata ancora presa».
Lo stesso Mattis è rimasto sul piano della
possibilità: «Credo ci sia stato un attacco chimico, stiamo cercando
prove concrete. Non abbiamo ancora deciso se lanciare un attacco
militare in Siria».
La nuova cautela statunitense non contagia per
ora gli alleati europei, Francia e Gran Bretagna, fin da subito pronti a
infilarsi l’elmetto. Ieri la premier britannica Theresa May (mentre i
sottomarini di Sua Maestà nel Mediterraneo si mettevano in posizione,
verso le coste siriane, e la Raf rendeva operativi i caccia di stanza a
Cipro) ha riunito il gabinetto per la sicurezza per discutere le misure
militari da assumere contro il presidente siriano Bashar al-Assad,
specificando di non aver bisogno del via libera del parlamento di
Londra.
E mentre l’Iran ribadisce con il comandante in capo in
Siria, Ali Akbar Velayati, sostegno all’alleato siriano «in ogni
circostanza», a mostrare titubanza ora è la Turchia, costretta tra le
due superpotenze. Tanto che fonti interne al governo turco negano che
Ankara possa permettere a Washington l’uso delle basi Usa sul proprio
territorio per lanciare attacchi su Damasco, e dunque contro la Russia.
Erdogan resta in attesa del 16 aprile, quando il segretario della Nato
Stoltenberg volerà ad Ankara; nel caso di richiesta diretta da parte
dell’Alleanza Atlantica – aggiungono altre fonti interne – la Turchia si
troverebbe di fronte a una scelta difficile.
Meno dubbi li
dimostra la Germania che si è già sfilata dalla corsa alla guerra. La
cancelliera Angela Merkel ha detto ieri che Berlino non parteciperà a
interventi militari in Siria.
Chi è invece partito per il paese
sono gli esperti dell’Organizzazione per la proibizione delle armi
chimiche (Opac): ieri l’ambasciatore siriano all’Onu Jaafari ha
annunciato l’arrivo di due team entro oggi. L’Opac conferma: gli esperti
inizieranno a lavorare domani a Douma, a Ghouta est, il luogo del
presunto attacco chimico di cui è accusato Assad.