il manifesto 13.4.18
L’irriducibilità dell’oggetto
Storia
delle idee. Nuova edizione per i testi di Alfred Schmidt e Hans-Georg
Backaus, due classici francofortesi che indagano l’opera di Marx in
relazione con l’idealismo tedesco. «La realtà sfugge sempre alla presa
del concetto, che non si lascia identificare»
di Stefano Petrucciani
Gli
anni Sessanta del Novecento non sono stati solo la grande stagione dei
movimenti, ma anche un periodo di straordinario rinnovamento e
ripensamento del marxismo. A mio modo di vedere, il maggior rilievo lo
hanno avuto tre correnti di pensiero che proprio in quella fase si sono
sviluppate, non senza rapporto con i movimenti che attraversavano la
società.
Le tre nuove letture del marxismo che hanno segnato il
periodo sono state quella operaista di Panzieri, Tronti e Negri, quella
althusseriana e quella francofortese. Tre esperienze nate nel cuore del
vecchio continente (Italia, Francia, Germania) e molto diverse, anzi
persino antagoniste, tra loro.
Il filone operaista e quello
althusseriano sono stati certamente più innovativi; il vantaggio della
lettura francofortese di Marx, però, stava nel fatto che essa era,
almeno a mio parere, decisamente più aderente a quello che Marx era
veramente stato. Gli interpreti di scuola francofortese, infatti, non
contaminavano Marx con esperienze culturali eterogenee, ma lo leggevano
in stretta connessione con tutta la vicenda dell’idealismo tedesco tra
Kant e Hegel, cioè lo riportavano a quello che era stato veramente il
suo terreno di formazione, i dibattiti e le polemiche dentro la scuola
hegeliana e l’uso che si poteva fare del pensiero del grande maestro.
Ma
cosa intendiamo quando parliamo di una lettura francofortese di Marx?
Cerchiamo di chiarirlo in poche parole. I maestri della Scuola di
Francoforte, come Horkheimer e Adorno, non avevano scritto libri su
Marx; avevano cercato piuttosto di interpretarne creativamente il
pensiero. Ma la lettura dell’autore del Manifesto che era presente nei
loro testi suscitò, negli anni Sessanta, nel contesto dell’Istituto per
la ricerca sociale di Francoforte, un nuovo approccio dialettico a Marx e
al Capitale, dal quale scaturirono alcune opere e linee di ricerca che
meritano ancora oggi di essere studiate con attenzione.
Tra i
frutti migliori di quella stagione ci furono il lavoro di Reichelt sulla
Struttura logica del concetto di Capitale (recentemente riproposto da
manifestolibri), gli scritti del prematuramente scomparso Hans-Jürgen
Krahl, gli studi di Alfred Schmidt e di Hans-Georg Backaus. I testi di
questi ultimi due sono oggi nuovamente disponibili per il lettore
italiano grazie al meritorio lavoro di Riccardo Bellofiore, che ha
introdotto una nuova edizione del miglior libro di Schmidt (Il concetto
di natura in Marx, Edizioni Punto Rosso, pp. 302, euro 20) e che ha
curato, con Tommaso Redolfi Riva, una summa degli studi di Backhaus
(Ricerche sulla critica marxiana dell’economia, Mimesis, pp. 416, euro
28), considerato l’iniziatore di quella che i tedeschi chiamano la Neue
Marx-Lektüre, cioè un nuovo modo di leggere i testi marxiani.
Al
di là della denominazione un po’ pomposa, la sostanza del discorso è
abbastanza chiara: il Capitale non deve essere letto come una nuova o
migliore teoria economica, ma come una critica delle categorie
economiche, a cominciare da quelle di valore e denaro; mentre l’economia
borghese le assume come date, Marx sviluppa dialetticamente, usando gli
strumenti che gli derivano da Hegel, la loro genesi e le loro
contraddizioni interne. E giunge così a mostrarne il carattere
feticistico: è l’economia borghese che assume come feticci, come dati,
come cose, delle categorie economiche che sono in verità il risultato di
un processo di sviluppo, e che come tali hanno una loro genesi e un
loro tramonto. Il nucleo del Capitale è lo svelamento di questo
feticismo, cioè il mostrare come quelli che si presentano come dati o
leggi dell’economia siano in realtà il risultato di rapporti sociali e
conflittuali tra gli individui e le classi, superabili e non eterni.
Backhaus
mostra come il sistema delle categorie economiche venga sviluppato in
Marx attraverso un metodo dialettico che riprende per molti aspetti
essenziali quello hegeliano. Non del tutto però, perché quella del
Capitale di Marx non è una totalità compiuta come quella hegeliana, ma
una totalità ancora contraddittoria, e dunque insidiata dal suo
tramonto.
Proprio su questo, allora, si può innestare una
riflessione come quella che Schmidt sviluppa nel suo Concetto di natura
in Marx. Il punto lo aveva fissato chiaramente già il pensatore di
Treviri nella famosa Introduzione del 1857, non pubblicata, a Per la
critica dell’economia politica. Per il Marx della Introduzione la
totalità concreta (il che vuol dire: concettualmente elaborata) è
certamente un prodotto del pensiero, ma non «del concetto che genera se
stesso», quanto piuttosto «dell’elaborazione in concetti dell’intuizione
e della rappresentazione». La ricostruzione in concetti della realtà
sociale come totalità contraddittoria è pur sempre (ed è qui che Marx si
volge contro Hegel) il lavoro interpretativo di una mente che si misura
con un oggetto reale che sta fuori di essa. Che rimane, come scrive
Marx, «saldo nella sua autonomia fuori della mente». Il pensiero è
attività di decifrazione che si esercita su qualcosa di altro, di non
riducibile: l’oggetto o, come anche si può dire, la natura.
Su
questo punto insiste il lavoro di Schmidt, profondamente segnato
dall’insegnamento sia di Horkheimer che di Adorno. Da Horkheimer
riprende il tema del materialismo e del naturalismo. Di Adorno Schmidt
sviluppa, in connessione sempre col tema materialistico, un aspetto
fondamentale: il concetto di natura allude a quello che Adorno chiamava
il «non-identico»; cioè la realtà che sfugge sempre in qualche modo alla
presa del concetto, che non si lascia identificare da esso pienamente e
senza residui. E qui è forte il retaggio kantiano, del Kant che aveva
insistito sui limiti del sapere che non può conoscere altro che il
«nostro» mondo, ma non le cose come sono in se stesse.
Il punto
d’approdo al quale coerentemente Schmidt arriva, perciò, è che
l’epistemologia di Marx rappresenta una sorta di creativa e originale
combinazione del momento hegeliano con quello kantiano. Come si legge
nel Concetto di natura in Marx, «tra Kant e Hegel, Marx assume una
posizione mediatrice difficilmente definibile. La sua critica
materialistica alla identità hegeliana di soggetto e oggetto lo
riconduce a Kant, anche se Marx non torna a concepire l’essere
non-identico con il pensiero come una inconoscibile cosa in sé». Marx
per un verso mantiene, contro Hegel, la tesi kantiana della non-identità
di soggetto e oggetto.
Per altro verso però, schierandosi con
Hegel contro Kant, sostiene che i due poli non hanno niente di statico,
ma interagiscono e si modificano reciprocamente nel processo storico:
noi cambiamo il mondo con le nostre azioni e questo retroagisce sui
nostri modi di pensare. Seguendo Hegel, Marx storicizza le categorie
kantiane; andando oltre Hegel, connette più strettamente le
trasformazioni dei modi di pensare con quelle del lavoro e dei rapporti
sociali.
Per concludere con una nota più leggera bisogna ricordare
che la prima edizione italiana del libro di Schmidt uscì nel 1969 per
Laterza con una prefazione di Lucio Colletti. Colletti apprezzava molto
il lavoro di Schmidt, perché credeva anche lui che si dovesse recuperare
il lato kantiano di Marx; ma nutriva un’antipatia assoluta per Adorno e
per i francofortesi; e cercava dunque, nella sua prefazione, di
sganciare Schmidt dai suoi maestri. Ma si trattava di un’operazione
fallimentare perché, come è evidente a chi legga con attenzione, la
«natura» di Schmidt e il «non-identico» di Adorno sono concetti che, in
ultima istanza, prendono di mira esattamente la stessa questione.