Il Fatto 3.4.18
Il paradosso del ritorno alle urne: “Non vincerebbe nessuno lo stesso”
Numeri - Fornaro (LeU): “Si sposterebbero 25-30 seggi: niente maggioranze”
di Marco Franchi
Ci
vuole tempo. Lo dicono tutti e quindi sarà vero: ci vuole tempo
affinché la crisi politica innescata dal voto del 4 marzo trovi una sua
composizione parlamentare; ci vuole tempo perché passino le scorie della
campagna elettorale e si possa procedere ad alleanze nuove; ci vuole
tempo affinché il Palazzo sviluppi quella particolare forma di
autoconservazione capace di creare maggioranza laddove pareva
impossibile.
Ci vuole tempo, eppure non mancano i segnali che il
tempo potrebbe non bastare e l’Italia essere riportata al voto in tempi
brevissimi (ottobre se ogni tentativo andrà a vuoto da qui a giugno). Il
busillis è noto e parte dal fatto che nessuno ha i voti: il governo del
centrodestra, che pure ha più parlamentari degli altri, è difficile
perché né il Movimento 5 Stelle, né il Pd intendono appoggiarlo; il
governo del M5S è possibile solo con Luigi Di Maio a Palazzo Chigi, ma
nessuno di quelli che potrebbe allearsi coi grillini vuole Di Maio a
Palazzo Chigi; un governo 5 Stelle centrodestra è impossibile perché i
primi non vogliono Silvio Berlusconi; un governo 5 Stelle-Lega è
difficilissimo perché la seconda non pare volersi staccare da Silvio
Berlusconi; un governo 5 Stelle-Pd è impossibile perché Renzi non vuole e
controlla metà dei gruppi parlamentari; un governo del presidente è
difficilissimo perché non lo vogliono appoggiare né i grillini, né i
leghisti.
Insomma, ci vuole tempo ma il tempo potrebbe non
bastare. Solo che anche il ritorno al voto potrebbe non essere
dirimente. Il perché lo spiega l’esperto di sistemi elettorali Federico
Fornaro, deputato di Liberi e Uguali, la scorsa settimana eletto
presidente del gruppo Misto alla Camera (in questa veste parteciperà
alle Consultazioni al Quirinale): “Con il Rosatellum anche la soluzione
di tornare alle urne sarebbe sterile perché, stando ai rapporti di forza
usciti dalle urne il 4 marzo scorso, in ballo ci sarebbero al massimo
25-30 seggi, insufficienti a determinare una maggioranza stabile alla
Camera”.
In sostanza, le dinamiche nei sondaggi post-voto mostrano
un ulteriore indebolimento dell’area del centrosinistra e una crescita
di 5 Stelle e Lega (ma quest’ultima soprattutto ai danni di Forza
Italia, cioè all’interno della coalizione di centrodestra). In sostanza a
“passare di mano” da uno schieramento all’altro sarebbero una trentina
di deputati, effettivamente non sufficienti – e di parecchio – a formare
una maggioranza di governo alla Camera (lo stesso discorso potrebbe
essere fatto per il Senato dimezzando i numeri): alla coalizione di
centrodestra mancano oltre cinquanta deputati per avere la metà più uno
dell’Aula, al Movimento 5 Stelle addirittura quasi cento; a Palazzo
Madama Salvini e soci sono sotto di 23, i grillini di 50.
Insomma,
anche un voto a ottobre non darebbe un vincitore netto. È anche vero,
però, che al prossimo giro sarebbe chiaro a tutti che è il momento del
compromesso, che il nuovo sistema tripolare non può essere ingabbiato
dentro logiche maggioritarie imposte per legge al corpo elettorale.