Il Fatto 30.4.18
Buon compleanno Marx, libertario letto molto male
Nell’anniversario
della nascita, l’autore de “Il Capitale” e de “Il Manifesto del partito
comunista” mantiene una attualità e una vitalità innegabili. La mole
sterminata dei suoi scritti rende l’opera fresca e vitale
di Salvatore Cannavò
Marx
è vivo e lotta insieme a noi. Lo slogan è un po’ scontato e forse
abusato. Ma sorprendentemente vero. Nel duecentenario della nascita
l’autore de Il Capitale e de Il Manifesto del partito comunista mantiene
una attualità e una vitalità innegabili.
La scorsa settimana il
quotidiano francese Le Monde gli ha dedicato un grande servizio che
racconta la diffusione del marxismo negli Stati Uniti. Il Corriere della
Sera gli dedica uno dei primi libri della nuova casa editrice,
Solferino, curato da Antonio Carioti e in cui, nella prefazione di
Ernesto Galli della Loggia si legge che “non bisogna sottovalutare la
forza anche camaleontica delle idee, la loro capacità di adattarsi ai
tempi, di trovare nuovi motivi per tornare prepotentemente sulla scena.
Specie se si tratta di idee forti, forti in particolare nell’indicare
quale sia il nemico da combattere (che poi sia quello giusto è
tutt’altro discorso)”.
Quello che è stato “un rabbino mancato”,
come scrive un rigoroso studioso di Marx, Marcello Musto, docente presso
la York university di Toronto, si impone sulla scena più da morto che
da vivo. Sicuramente grazie a uno studio talmente intenso da averlo
fatto ammalare.
Marx studiò sempre e senza pausa, nonostante gli
stenti, i figli che gli morivano in casa, nonostante “la quintessenza
della merda” che dovette ingoiare. In vita pubblicò relativamente poco,
accumulando appunti e quaderni, alla continua ricerca della perfezione
con l’opera omnia, Il Capitale, completato solo nel capitolo primo e poi
ricostruito da Engels dopo la morte dell’autore. Questa incompiutezza e
la mole sterminata dei suoi scritti rende l’opera marxiana fresca e
vitale nonostante il santino del socialismo reale che gli è stato cucito
addosso.
A essere convinto che invece Marx faccia rima con
libertà è lo stesso Musto che respinge l’idea di una linea di
congiunzione tra il pensatore di Treviri e il totalitarismo (tesi
coltivata, sia pure con prudenza, da Hannah Arendt): “Marx assegnò un
valore fondamentale alla libertà individuale” dice Musto al Fatto
quotidiano. “Il suo comunismo è radicalmente diverso dal livellamento
delle classi auspicato da tanti suoi predecessori e dalla grigia
uniformità politica ed economica realizzata da molti suoi seguaci. Marx
fu contrario a ogni tipo di socialismo di Stato e considerò essenziale,
per ogni processo rivoluzionario, l’autoemancipazione dei lavoratori. La
sua idea di società è, dunque, agli antipodi dei totalitarismi sorti in
suo nome nel XX secolo. Marx fu il teorico dell’autogoverno dei
produttori”.
Su questa ipotesi c’è un filone di pensiero che è
rimasto minoritario nella storia del marxismo occidentale, battuto dal
comunismo reale, ma che ha poi trovato nuovi spazi nella Marx
Renaissance di inizio 2000 e che può essere sintetizzata nelle parole
del filosofo francese Jacques Derrida: “Sarà sempre un errore non
leggere, rileggere e discutere Marx”.
Come invitava Immanuel
Wallerstein sulle pagine domenicali de La Lettura, leggere Marx
significa leggere le sue opere. Da quali cominciare? “Partirei dai
documenti più importanti redatti per l’Associazione Internazionale dei
Lavoratori, compresa La guerra civile in Francia, dice Musto, ai quali
farei immediatamente seguire i capitoli più storici del Libro Primo de
Il Capitale, che resta il testo principale per comprendere la teoria di
Marx. La Critica del programma di Gotha è un testo breve quanto
prezioso. Una buona selezione dai Grundrisse, soprattutto delle pagine
sulla società post-capitalistica, potrebbe precedere alcuni articoli
giornalistici pubblicati sul New York Tribune, in particolare quelli
sulla crisi economica del 1857. Il Manifesto del Partito Comunista e i
Manoscritti economico-filosofici del 1844 restano delle letture molto
affascinanti, ma andrebbero affrontate con la consapevolezza che Marx
sviluppò ulteriormente le proprie concezioni, dopo la loro stesura”.
Ma,
al dunque, perché Marx resta attuale, cosa funziona di quel pensiero?
Come scriveva il filosofo francese Daniel Bensaid “il rapporto tra
capitale e lavoro resta un rapporto asimmetrico; il primo non potrà mai
fare a meno del secondo, mentre il secondo può fare benissimo a meno del
primo”.
Musto fa la stessa osservazione: “In un’epoca nella quale
la classe capitalista torna ad appropriarsi, senza quasi alcuna
opposizione, di enormi quantità di lavoro non pagato, Marx mostra,
meglio di chiunque altro, che i lavoratori non ricevono l’equivalente di
quello che producono. Ne Il Capitale, egli affermò che la ricchezza
della borghesia è possibile solo mediate la ‘trasformazione in tempo di
lavoro di tutto il tempo di vita delle masse’. Questa dinamica si
manifesta ancora di più su scala globale”.
Nonostante il lavoro
non sia più non solo quello dell’800 ma nemmeno quello del 900 e
nonostante il camaleontismo del capitale, quel rapporto ineguale è
tutt’ora vigente. Si può pensare che la soluzione risieda in un nuovo
compromesso tra capitale e lavoro, ipotesi riformista forte, alla
Sanders; oppure che il capitalismo vada abbattuto, ipotesi
rivoluzionaria. Ma l’analisi di quella disparità resta tutt’ora in
piedi. La storia recente ha dimostrato che non esiste “terza via”. Anche
per questo Marx non sente il peso dei suoi duecento anni.