Il Fatto 28.7.18
La scuola non rende uguali poveri e ricchi
di Marco Morosini
L’Amaca
del 20 aprile di Michele Serra ha suscitato un dibattito, purtroppo un
po’ confuso, che vorrei semplificare. Lo spunto era un episodio di
umiliazione verbale e ostentata a fini spettacolari (video in Internet)
di adolescenti verso un professore, in una scuola tecnica. Secondo
Serra, tali episodi hanno più probabilità di avvenire nelle scuole
frequentate da ceti meno abbienti per reddito, cultura ed educazione. I
loro studenti non sono “più cattivi” di per sé, ma vittime delle
condizioni socio-economiche che li sfavoriscono nell’acquisizione di
cultura e educazione.
Non trovo statistiche per suffragare questa
osservazione di Serra. Forse ci sono, ma purtroppo è raro che includano
dati sul reddito delle famiglie e sul livello di istruzione dei genitori
(spesso un tabù, in Italia). Nella bella inchiesta “Comportamenti
violenti nelle scuole” della Onlus Cittadinanza attiva, scolari e
professori vedono nel “carattere” la causa principale delle violenze.
“Condizioni sociali”, invece, è una delle altre otto cause nominate, ma
senza percentuali.
Purtroppo molti commenti sono stati non sulle
discriminazioni sociali e sulle loro conseguenze sulla violenza nelle
scuole, ma su Serra, o sulla “sinistra” tout court. Processare il
messaggero invece che argomentare sul messaggio ha così offuscato
quest’ultimo. Il risultato è stato addensare il fumo ideologico che da
un ventennio impedisce alla società di riconoscere le differenze di
classe sociale e le loro conseguenze sui comportamenti. La “scuola di
classe”, è quella che negli anni Sessanta Don Milani e i suoi scolari
della scuola di Barbiana denunciavano nella Lettera a una professoressa.
Ma parlare di scuola di classe ora è una tabù.
Per aiutare a
capire il messaggio di Serra consideriamo uno strumento ideologicamente
neutro, una bilancia pesa persone, invece che una (inesistente) bilancia
pesa-bullismo. Studi rigorosi rilevano in sempre più Paesi che il peso
medio pro capite dei poveri è superiore a quello dei ricchi: l’obesità
ai poveri, la fitness ai ricchi. Il cibo-spazzatura (a buon mercato e
ipercalorico) prodotto dalle fabbriche dei ricchi deve pur essere
smaltito da qualcuno. Per esempio dai poveri. Altrimenti i ricchi non
potrebbero esserlo e pagarsi sport e diete per pesare meno e vivere più a
lungo dei poveri. C’è una forte correlazione tra povertà, obesità, le
relative malattie, e la minor longevità, come indicano gli studi Obesity
and poverty paradox in developed countries e Poverty and Obesity in the
US .
L’obesità non è trasversale alle classi. E credo che le
“obesità mentali” siano altrettanto poco trasversali. Per esempio le
“obesità mentali” indotte dal diverso uso dei media: durata, qualità,
nocività, potenziale di intossicazione dell’uso di Internet. Di
conseguenza, ritengo che non lo sia nemmeno l’influenza di questi
sull’educazione e il comportamento delle persone.
Secondo uno
studio in Corea, la performance scolastica è associata positivamente a
un maggiore uso di Internet per fini scolastici, ma negativamente al suo
uso per fini non scolastici. Un altro studio ha un titolo eloquente:
The Rich See a Different Internet Than the Poor (I poveri vedono
un’Internet diversa da quella dei ricchi).
Se ci fossero
misurazioni della durata e della qualità degli accessi a Internet dei
figli dei ricchi e dei poveri (di soldi e di cultura) presumo che il
numero di ore quotidiane e la buona o cattiva qualità degli accessi
on-line e del “gaming” non risulterebbero distribuiti ugualmente tra le
classi sociali. Niente di nuovo: da studi passati è nota la correlazione
tra la durata della esposizione dei bambini alla Tv e la povertà delle
famiglie.
Se è vero che tutti mangiamo e tutti (o molti) accediamo
a Internet, non lo facciamo tutti nello stesso modo, nella stessa
quantità, con la stessa capacità critica. E queste differenze non sono
casuali tra individui, ma riflettono in buona parte (nella media) le
differenze di ricchezza materiale e culturale.
Anche per
l’Internet-spazzatura” e il “gaming” la fitness culturale è dei ricchi,
l’obesità culturale dei poveri. Se ci fosse un censimento degli
adolescenti patologicamente obesi e patologicamente Internet-dipendenti,
vi aspettereste la stessa percentuale tra i ricchi e tra i poveri?
Questa
distribuzione iniqua è solo una delle distribuzioni inique di quasi
tutti i beni e i mali in una società di classi capitalista. Per ridurle,
ci sono due modi. Primo, parlarne senza tabù. Secondo, rimboccarsi le
maniche perché lo Stato crei forti correttivi sociali ed ecologici
(all’estero la chiamano “economia eco-sociale di mercato”). Lo mettiamo
nel programma del prossimo “contratto di governo”?