Il Fatto 28.4.18
La critica radicale del presente: l’eredità di Marx
di Maurizio Viroli
Non
saprei dire quanti altri giovani della mia generazione misero in
soffitta Karl Marx dopo aver letto l’articolo Esiste una teoria marxista
dello Stato? che Norberto Bobbio pubblicò nel 1975 su Mondoperaio, e
ripubblicò nel 1976 nel libro Quale socialismo?, ma sospetto siano stati
molti.
La risposta di Bobbio era netta: negli scritti di Marx e
di Friedrich Engels, “una vera e propria teoria socialistica dello Stato
non esiste”. A nulla valsero le centinaia di pagine scritte dagli
intellettuali ‘organici’, come si diceva allora, al Partito comunista
per confutare Bobbio e salvare Marx. Se Marx non aveva fornito una
teoria dello Stato, come poteva essere guida intellettuale di un partito
che aspirava a guidare lo Stato democratico?
Messo da parte Marx,
cercammo altri maestri che potessero aiutarci a credere nel socialismo
senza essere marxisti. Trovammo per nostra fortuna Carlo Rosselli e il
suo Socialismo liberale che proprio Bobbio aveva curato in una bella
edizione Einaudi del 1973. La prima pagina di quel libro aveva il valore
di una rivelazione o di una conferma di quanto già pensavamo, vale a
dire che il limite maggiore della teoria sociale e politica di Marx era
la pretesa (rafforzata e popolarizzata dal buon Friedrich Engels) di
essere dottrina scientifica : “L’orgoglioso proposito di Marx fu quello
di assicurare al socialismo una base scientifica, di trasformare il
socialismo in una scienza, anzi nella scienza sociale per definizione
[…] Doveva avverarsi, non poteva non avverarsi; e si sarebbe avverato
non per opera di una immaginaria volontà libera degli uomini, ma di
quelle forze trascendenti e dominanti gli uomini e i loro rapporti che
sono le forze produttive nel loro incessante svilupparsi e progredire.”
Rosselli
capì che il Manifesto del Partito comunista aveva immensa forza
d’ispirazione perché era profezia travestita da scienza: “Quale pace,
quale certezza dava il suo linguaggio profetico ai primi apostoli
perseguitati! “
Ma già agli inizi del Novecento, dopo la disputa
sul revisionismo aperta dal libro di Eduard Bernstein, uscito nel 1899
(che Laterza ha pubblicato in traduzione italiana nel 1974 con il titolo
I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia), i più
intelligenti giudicarono la scienza di Marx del tutto incapace di
spiegare la realtà economica e sociale, e non trovarono più né conforto
né guida nella profezia ormai irrigidita in stanche formule ripetute
meccanicamente. Eppure, molte pagine di Marx, soprattutto del giovane
Marx, offrono ancora, se le leggiamo senza i vecchi condizionamenti
ideologici, elementi per una teoria dell’emancipazione sociale.
La
lettera che Marx spedisce ad Arnold Ruge da Kreuznach, nel settembre
del 1843, poi pubblicata nei Deutsch-Französische Jahrbücher del 1844,
ad esempio, è un testo che ci insegna i lineamenti di una critica
sociale e politica intransigente: “Costruire il futuro – scrive Marx – e
trovare una ricetta valida perennemente non è affar nostro, ma è certo
più evidente ciò che dobbiamo fare nel presente: la critica radicale di
tutto l’esistente”. Critica radicale perché senza riguardi, senza paura
né dei suoi risultati né del conflitto coi poteri attuali. E ci insegna
che la lotta per la libertà e per la giustizia deve essere in primo
luogo lavoro paziente di educazione delle coscienze: “Indi il nostro
motto sarà: riforma della coscienza, non con dogmi, bensì con l’analisi
della coscienza mistica, oscura a se stessa, in qualunque modo si
presenti (religioso o politico)”.
L’emancipazione politica e
sociale non era per il giovane Marx risultato di tendenze oggettive
della storia, ma conquista di coscienze emancipate che sanno riscoprire
il sogno o la profezia di giustizia che l’umanità ha coltivato in varie
forme nella sua lunga storia: “così si vedrà che da tempo il mondo sogna
una cosa, di cui deve solo aver la coscienza per averla realmente. Si
vedrà che non si tratta di tracciare una linea fra passato e futuro, ma
di realizzare le idee del passato. Si vedrà infine come l’umanità non
inizi un lavoro nuovo, bensì attui consapevolmente il suo antico
lavoro”.
Nello stesso fascicolo (l’unico che vide la luce) Marx
pubblicò anche un’Introduzione a Per la critica della Filosofia del
diritto di Hegel, dove sostiene che il proletariato è la sola classe
sociale che emancipando se stessa emancipa l’intera società e che la
filosofia può trovare nel proletariato “le sue armi materiali”. La
filosofia (ovvero gli intellettuali) è dunque la “testa di questa
emancipazione”; “il suo cuore è il proletariato”. Due illusioni nobili,
queste del giovane Marx, ma pur sempre illusioni.
Il proletariato,
allora come oggi, è una classe oppressa e umiliata, ma resta una classe
particolare che nella sua storia ha lottato e sofferto per finalità di
emancipazione generale, ma ha anche sostenuto demagoghi autoritari.
Attribuire al proletariato il semplice ruolo di cuore e forza materiale
dello sforzo di emancipazione e agli intellettuali quello di cervello,
significa aprire la strada, come la storia ha abbondantemente
dimostrato, a freddi professionisti della rivoluzione e del governo,
incapaci di condividere le sofferenze e le speranze degli oppressi e
dunque pronti a diventare non compagni di lotta, ma nuovi dominatori.
In
questo saggio, nato in un contesto segnato da appassionati dibattiti su
religione e emancipazione sociale (ben documentato dalla recente
biografia scritta da Gareth Stedman Jones, Karl Marx. Greatness and
Illusion, Harvard University Press, 2016) Marx ha consegnato alla storia
la sua celebre critica dell’alienazione religiosa: “L’uomo fa la
religione, e non la religione l’uomo. […] Essa è la realizzazione
fantastica dell’essenza umana, poiché l’essenza umana non possiede una
realtà vera. La lotta contro la religione è dunque mediatamente la lotta
contro quel mondo, del quale la religione è l’aroma spirituale. La
miseria religiosa è insieme l’espressione della miseria reale e la
protesta contro la miseria reale. La religione è il sospiro della
creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo
spirito di una condizione senza spirito. Essa è l’oppio del popolo”.
Sarebbe facile osservare che la religione, in particolare la religione
cristiana, ha sostenuto importanti esperienze di liberazione politica e
sociale. Ma dalla critica alla religione, Marx trae due conclusioni di
straordinario valore morale e politico: la prima consiste nel principio
che “l’uomo è per l’uomo l’essere supremo”; la seconda nell’“imperativo
categorico di rovesciare tutti i rapporti nei quali l’uomo è un essere
degradato, assoggettato, abbandonato, spregevole”. Un principio e un
imperativo da riscoprire in questo nostro tempo che ha completamente
perso l’idea stessa, e anche la speranza, dell’emancipazione sociale.