Il Fatto 16.4.18
La tentazione di cercare alternative alla democrazia
Spesso
gli elettori scelgono chi votare sulla base di informazioni incomplete o
distorte dalla faziosità. É ora di chiedersi se queste sono
imperfezioni inevitabili o storture da correggere, scrive il politologo
Brennan
di Stefano Feltri
Quando Francis Fukyama ha
pubblicato il suo celebre libro su La fine della storia nel 1992 non
intendeva certo dire che si erano esauriti gli eventi degni di nota,
come sostengono certi critici che non lo hanno letto. La sua tesi era
che la democrazia liberale, con il suo corollario di un capitalismo
regolato ma non troppo, era rimasta senza rivali nella battaglia per le
idee. Una tesi che non è stata davvero incrinata dagli eventi dei 25
anni successivi: svanita ogni utopia socialista, restano in campo giusto
la via cinese all’economia di mercato (per definizione non
esportabile), il radicalismo islamico che solo poche minoranze di
esaltati considerano potenzialmente egemonico, e i vari uomini forti al
comando (Vladimir Putin), ma si tratta di mero esercizio del potere
senza velleità ideologiche.
Eppure la democrazia liberale non è mai
stata tanto criticata come in questi anni: chi vota i partiti di
protesta rimprovera alle élite al governo di aver svenduto gli interessi
del popolo, chi vota contro quei populisti inizia a essere scettico
sulle virtù di un sistema che spinge la Gran Bretagna fuori dall’Unione
europea sulla base di informazioni false (il famoso risparmio di 350
milioni di sterline a settimana da destinare al servizio sanitario
nazionale), manda al potere Donald Trump, apre le porte del Parlamento
tedesco all’estrema destra e condanna vari Paese, inclusa l’Italia, a
uno stallo dovuto all’incapacità delle elezioni di produrre maggioranze
di governo.
Forse è il momento di pensare a un’alternativa,
suggerisce Jason Brennan, politologo della Georgetown University di cui
la Luiss University Press pubblica ora in italiano l’ultimo libro dal
titolo efficace: Contro la democrazia. La tesi di Bernnan è semplice,
anche se molto argomentata: abbiamo sopravvalutato la democrazia,
produce risultati che non sono affatto ottimali, bisogna valutare
l’opportunità di abbandonarla per passare all’epistocrazia, cioè “il
governo di coloro che conoscono”. Ci sono tre tipi di elettori, dice
Brennan: gli hobbit, che non si informano, non seguono l’attualità,
spesso non votano e quando lo fanno decidono chi sostenere sulla base di
informazioni sommarie; poi ci sono gli hooligan, gli appassionati di
politica, che non disertano mai l’urna, si impegnano in campagna
elettorale, magari hanno pure una tessere di partito, sono molto più
consapevoli degli hobbit ma non sono interessati al bene comune, quanto
alla vittoria della squadra che supportano. E infine ci sono i
vulcaniani: sono i democratici perfetti, lucidi, razionali,
disinteressati, perfettamente informati e competenti (spoiler: i
vulcaniani non esistono). Poiché gli elettori si dividono tra hobbit e
hooligan, la democrazia consegna i destini della comunità all’opinione
di persone incompetenti o faziose. I francesi sono convinti che i
musulmani nel loro Paese siano il 31 per cento, dice un sondaggio di
Ipsos Mori, mentre in realtà sono il 13 per cento. Questa falsa
percezione contribuisce parecchio a condizionare l’agenda della politica
e a spiegare l’ascesa del Front National di Marine Le Pen. Ma queste
disfunzioni del sistema non sembrano preoccupare nessuno.
Non sarebbe
meglio, provoca Brennan, chiederci se si può ottenere un risultato
migliore correggendo i difetti della democrazia ? Potremmo scoprire che
alle nostre società conviene dare un voto che vale doppio ai laureati
(era una vecchia idea di un liberale come John Stuart Mill) o magari
alle donne, o che conviene escludere dal voto chi non ha gli strumenti
minimi per formarsi un’opinione o non ha alcuna idea di come funziona la
politica. Prima di indignarvi, fermatevi un secondo a pensare: lo
stiamo già facendo, Brennan non propone niente di incompatibile con le
regole attuali. Escludiamo dal voto i minorenni, trattandoli in blocco
come incapaci di prendere decisioni responsabili a prescindere dal fatto
che certi sedicenni possono essere più colti e informati di molti
cinquantenni, lasciamo votare discendenti di italiani all’estero che
neanche parlano la lingua ma vietiamo di partecipare alla vita politica
persone che sono nate e cresciute in Italia soltanto sulla base della
nazionalità dei loro genitori. E chiedere un’esame di cittadinanza
sarebbe davvero così mostruoso? Magari qualcuno si offenderebbe, ma il
legislatore non si preoccupa dell’amor proprio di santoni e guaritori
quando vieta loro di spacciarsi per medici, lasciando il titolo solo a
chi ha seguito studi e abilitazioni.
Nella prospettiva di Brennan,
l’astensione è un primo passo nella giusta direzione: chi non ha
opinioni è meglio eviti di fare danni (anche se così gli hobbit lasciano
spazio agli hooligan). “Non è vero (di fatto) che il popolo abbia
sempre ragione. Spesso ha torto. Il principio della democrazia è che ha
(il popolo, s’intende) il diritto di sbagliare. Ma se sbaglia troppo e
troppo spesso, allora la democrazia è nei guai”, scriveva nel 2007
Giovanni Sartori.
Ci sono argomenti per contestare tutte le tesi di
Brennan. Ma leggere il suo Contro la democrazia è un esercizio utile e
necessario in questi anni di cinismo e rabbia. Aiuta a capire che la
democrazia liberale è un edificio fragile, che va custodito e manutenuto
ogni giorno. Altrimenti comincerà a sembrare razionale abbatterlo per
lasciare spazio a qualcosa di nuovo.