mercoledì 11 aprile 2018

Il Fatto 11.4.18
Cari autocrati dell’Est unitevi: più poteri a uno meno diritti per tutti
Dittature soft. Da Babis a Putin, si moltiplicano le figure che accentrano ed estendono tutti i poteri
di A.V.


Nei Paesi dell’ex blocco comunista fino alle estreme propaggini orientali dell’Europa, si moltiplicano e si fortificano le figure autoritarie che voto alla mano stanno cambiando la natura del potere democratico ridisegnato dopo la caduta dell’Unione sovietica.
Viktor Orbán
Ungheria
La Costituzione post-comunista del 1989 viene riscritta già nel 2010 con Fidesz al potere. L’11 marzo 2013, il Parlamento approva decisivi emendamenti alla legge fondamentale. Fortemente ridimensionato il ruolo della Corte costituzionale, che non potrà più bocciare leggi approvate con maggioranza parlamentare di 2/3. Restrizioni sulle libertà civili, come le pene per i senzatetto che dormono in uno spazio pubblico, il sostegno alla famiglia tradizionale (contro quella omosessuale), o il monopolio dell’informazione da parte dei media di Stato in campagna elettorale. L’allora presidente della Commissione Ue Barroso parlò di “preoccupazioni per lo Stato di diritto”, anche se Bruxelles non ha sanzionato Budapest né allora, né con la successiva commissione Juncker.
Vladimir Putin
Russia
Le principali riforme alla Costituzione post-sovietica del 1993 risalgono al 2008 l’allora presidente (oggi premier) Medvedev fece approvare l’estensione del mandato presidenziale da 4 a 6 anni e di quello della Duma (la camera bassa, elettiva, che compone il Parlamento federale) da 4 a 5 anni. La proposta fu approvata in tempi strettissimi, suscitando perplessità da opposizione e parte dei media. Eletto presidente per due mandati (2000 e 2004), Putin ha formalmente rispettato il dettato costituzionale che vieta 3 incarichi presidenziali consecutivi, lasciando appunto a Medvedev la carica nel 2008. Tornato nel 2012 con mandato a 6 anni e riconfermato da poco, Putin nega per ora di volere una nuova riforma costituzionale in modo da poter restare al Cremlino a vita.
Mateus Morawicki
Polonia
La Ue a febbraio ha attivato contro Varsavia l’articolo 7 sul Trattato dell’Unione: la procedura, che potrebbe portare anche alla sospensione del diritto di voto in Consiglio Ue, è motivata dalle riforma del sistema giudiziario, che rappresenta “un attacco allo Stato di diritto e ai valori europei”. Con l’arrivo al governo nel 2015 del partito nazionalista Diritto e Giustizia (Pis) guidato da Jaroslaw Kaczynski, il governo dell’allora premier Beata Szydlo ha limitato i poteri della Corte costituzionale. Ignorando le manifestazioni di piazza, i richiami del capo dello Stato Andrej Duda e quelli di Bruxelles, e con al governo il nuovo premier Mateus Morawicki, il Parlamento ha varato una norma che sottopone Corte suprema e Consiglio nazionale della magistratura al potere di nomina del ministro della Giustizia. Perché Varsavia venga sanzionata dall’Ue, è necessaria l’unanimità: Budapest ha già fatto sapere che difenderà l’alleato.
Andrej Babis
Repubblica Ceca
Al nazionalista ed euroscettico capo di Stato Milos Zeman, si è affiancato il miliardario Andrej Babis. Il suo partito Ano è risultato primo nel voto di ottobre, ma nonostante abbia ricevuto l’incarico, il governo Babis è ancora in cerca di una maggioranza. Il Babis-pensiero è contenuto nel suo best-seller, in cui progetta di eliminare il Senato, introdurre un sistema fortemente maggioritario ed eliminare le autorità regionali e locali. Una riforma in linea con la sua idea di “gestire il Paese” come un’azienda”, che rischia secondo molti osservatori, di minare la democrazia rappresentativa.