Il Fatto 10.4.18
Ipocondria, la malattia di sentirsi malato
Sempre in cura - L’ossessione dei sintomi e dei controlli: il virus è sempre avanti alla medicina
Ipocondria, la malattia di sentirsi malato
di Daniela Ranieri
“Se
un medico è bravo”, diceva Vittorio Gassman, “prima o poi qualcosa te
lo trova”. Dietro l’irresistibile battuta si cela la consapevolezza
micidiale dell’ipocondriaco: non importa quanti progressi compia la
medicina; la malattia, come la tartaruga con Achille, sarà sempre un
passo avanti, amando nascondersi nei sintomi apparentemente più
trascurabili della faticosa vita biologica. L’ipocondriaco – che si
chiama così perché un tempo si riteneva che soffrisse agli “ipocondri”,
organi che si credeva siti sotto l’addome tra fegato e milza, dove si
accumula la “bile nera” responsabile della “melanconia” – è, al
contrario della persona normale, qualcuno che conosce questa verità.
Quasi
tutti i grandi geni melanconici del passato erano ipocondriaci:
Schubert, Chopin, Liszt, Rossini, Molière (che sulle sue manie ha
costruito Il malato immaginario); ipocondriaco con tendenza
all’avvelenamento era Mozart; patofobico era Charlie Chaplin; germofobo
era il poeta Majakovskij: sigillava le finestre, toccava le maniglie
solo con un fazzoletto, temeva un raffreddore più della morte (a cui
invece ricorse come estrema soluzione). Il pittore Pontormo per undici
anni visse chiuso nel cantiere del coro di San Lorenzo, solo e febbrile:
faceva bollire nello stesso barile in cui mischiava i colori anche 50
uova, che mangiava in un giorno, redigendo un Diario allucinatorio in
cui registrava maniacalmente tutte le variazioni delle sue funzioni
corporali. Freud, che curava i pazienti dalle “nevrosi d’ansia”,
soffriva di cardiofobia, cioè aveva costantemente paura di morire di
infarto.
Oggi l’ipocondriaco è quanto mai solo; la
medicalizzazione pop della vita quotidiana, lungi dal rassicurarlo, lo
sfida incessantemente. Gli spot che pubblicizzano farmaci da banco anche
per il più lieve malessere non fanno che confermargli che c’è una parte
del mondo che si cura, sostenuta dalla medicina ufficiale; e una parte,
in cui lui si trova, per la quale non esiste rimedio perché non esiste
diagnosi. La furia diagnostica che lo spinge a sottoporsi a esami su
esami (in ciò aiutato da medici che preferiscono prescrivere analisi
costose e invasive piuttosto che impegnarsi in una conoscenza
complessiva del paziente, fondamentalmente per mettersi al riparo da
eventuali cause giudiziarie) non lo rasserena; anzi, l’esito negativo lo
terrorizza e lo convince vieppiù di avere qualcosa di raro e di grave.
Secondo
gli psicoterapeuti Alessandro Bartoletti e Giorgio Nardone, che hanno
appena pubblicato La paura delle malattie. Psicoterapia Breve Strategica
dell’Ipocondria (Ponte alle Grazie), l’ossessione dell’ipocondriaco
consiste nella tendenza a dare una “interpretazione catastrofica” alle
proprie sensazioni corporee. Contrariamente a quanto si pensa, infatti,
l’ipocondriaco non inventa niente. Ha davvero i malesseri che accusa. Si
tratta di dolori, disturbi, sintomi che possono essere innocui, e nella
maggior parte dei casi lo sono, oppure no. È la coscienza dell’“oppure
no” a caratterizzare il patofobico e a condurlo a comportamenti
compulsivi o fobici (paura dell’attività fisica o dei luoghi affollati).
Gli
autori chiamano questa tendenza “ricerca algica”, una specie di
rincorsa del dolore; l’ipocondriaco “tende costantemente l’orecchio”
alle sue sensazioni, sollecita il sintomo, lo “socializza” con amici e
parenti, in una ipervigilanza sfiancante che lo debilita e nella maggior
parte dei casi finisce per renderlo davvero malato (lo stress riduce le
difese immunitarie). Dal personale al collettivo: dalle epidemie
ipocondriache come quelle per la Sars o per la cosiddetta Sindrome della
mucca pazza alla patologia della cybercondria, o ipocondria digitale,
caratterizzata dalla compulsione a cercare su Internet la diagnosi al
proprio male.
Bartoletti e Nardone descrivono gli stratagemmi e le
tecniche che adottano coi loro pazienti per dissuaderli dall’essere
ipocondriaci (come in una specie di contrappasso dantesco, si tratta di
esacerbare il controllo su sé stessi fino a rendere poco remunerativa e
molto sfiancante la pratica). Auguriamo a tutti gli ipocondriaci di
guarire, ma offriamo loro la nostra letteraria solidarietà: come sapeva
bene il grande ipocondriaco-ironico Carlo Emilio Gadda, l’ipocondriaco
non solo non è matto, ma può essere al contrario un grande logico, della
specie di Amleto. All’estremo limite della ragione, sa che l’ipocondria
può coesistere con la malattia vera, e che riconoscere di essere
ipocondriaci non immunizza certo dall’ammalarsi.