Corriere 10.4.18
Profili spiati
Adesso l’Italia chiede sanzioni per Facebook
di Martina Pennisie Fiorenza Sarzanini
Facebook
ha trasferito dati alla società Cambridge Analytica senza il consenso
degli interessati, cambiando la finalità d’uso. E quella finalità era di
propaganda elettorale. Per questo l’Italia, con il Garante della
privacy, chiederà i danni alla società di Mark Zuckerberg. Ben più di
200 mila gli utenti spiati.
ROMA La contestazione del garante
della Privacy è chiara: Facebook ha permesso un trasferimento di dati
alla società Cambridge Analytica senza il consenso degli interessati,
cambiando la finalità d’uso. E quella finalità era di propaganda
elettorale.
Per questo l’Italia chiederà l’applicazione delle
sanzioni previste dal Nuovo regolamento europeo — che saranno operative
dal 25 maggio prossimo — pari al 4 per cento del fatturato globale della
società. Ma soprattutto amplierà l’indagine alle altre aziende
specializzate in marketing politico che avevano siglato accordi con il
colosso californiano di Mark Zuckerberg.
Il sospetto è che i
profili italiani coinvolti nello scambio illecito di informazioni siano
ben più dei 214.134 comunicati inizialmente. E finiti nella Rete della
società britannica perché amici dei 216 connazionali — il dato, secondo
il Garante, è maggiore di quello dichiarato dal social network mercoledì
scorso (57) — che avevano scaricato la applicazione «This is your
digital life» dell’accademico Aleksandr Kogan.
Si teme, inoltre,
che le «vittime» siano state influenzate su alcuni temi come il razzismo
e l’immigrazione. Secondo le verifiche svolte dagli analisti dell’
intelligence , ci sono infatti stati scambi fra gli italiani profilati
da Cambridge Analytica — che in queste ore stanno ricevendo un avviso
sulla loro pagina Facebook della possibile violazione — e alcuni finti
account che avevano come caratteristica quella di avere la parola
«Salvini» nell’intestazione.
La riunione Ue
L’incontro di
questa mattina a Bruxelles tra i Garanti europei per la Privacy servirà a
fornire i risultati dei controlli svolti da ognuno a livello nazionale,
ma soprattutto a decidere le prossime mosse. Antonello Soro porterà il
quadro della situazione italiana, ribadendo la necessità di ampliare i
compiti della task force che era stata creata per verificare l’utilizzo
delle informazioni degli utilizzatori di WhatsApp da parte di Facebook.
In questo contesto, si parla di due piattaforme che fanno capo alla
stessa società. Quella con sede a Menlo Park amministrata da Zuckerberg,
appunto.
Ma in molti casi si è accertato che la procedura dello
scambio di dati fra l’applicazione verde di messaggistica e il social
network era stata attivata senza il consenso esplicito degli interessati
e anche coinvolgendo persone che non si erano mai iscritte a Facebook
ma avevano solo registrato il loro numero di telefono su WhatsApp. Il
tasto dolente, quindi, è sempre lo stesso, come è accaduto per le
aziende che si occupano di politica e come avviene per il resto del
mercato della pubblicità su Internet: la consapevolezza delle condizioni
d’uso di questi strumenti e della destinazione finale e intermedia di
quanto ci riversiamo sopra quotidianamente. La possibilità di erogare
sanzioni in base al nuovo Regolamento europeo sarà operativa solo dalla
fine di maggio, ma il problema dei criteri da applicare è già sul
tavolo. La linea prevalente è quella di procedere tutti insieme, in modo
che sia l’Unione europea a far valere le proprie ragioni. Resta da
stabilire se le multe debbano essere contestate dalla Gran Bretagna —
dove ha sede Cambridge Analytica — o dall’Irlanda. Finora i casi
riguardanti la privacy dei cittadini dell’Unione europea sono stati
infatti trattati esclusivamente dal garante irlandese, perché la sede di
Facebook in Europa si trova a Dublino.
I finti profili
È
stato Christopher Wylie, l’analista di Cambridge Analytica che ha
rivelato l’uso illecito di dati compiuto dall’azienda di cui Steve
Bannon è stato vice presidente, a parlare dell’Italia come «unico Paese
che ha lavorato con noi». E qualche giorno dopo è stata accreditata la
possibilità che un partito fosse stato favorito proprio grazie alla
propaganda effettuata attraverso Facebook. Questo ha fatto attivare le
verifiche dell’intelligence e della Polizia postale, delegata dai
magistrati romani. Secondo i primi controlli, nelle settimane precedenti
le ultime elezioni, sarebbero stati utilizzati almeno cinque finti
profili per scatenare il dibattito o comunque inviare messaggi sui temi
«caldi« della campagna elettorale, soprattutto l’immigrazione,
coinvolgendo le persone profilate dai britannici.
In tutti compare
la parola «Salvini». Al momento è stato escluso che siano riconducibili
alla Lega. Gli analisti ritengono che potrebbero essere stati creati
addirittura per danneggiare il partito, ma su questo si stanno
effettuando ulteriori controlli proprio per stabilire che tipo di
influenza possano aver avuto sugli utenti e se davvero — così come è
stato chiesto dai pubblici ministeri — una simile attività sia in grado
di influenzare il voto come si sta cercando di valutare se sia accaduto
in altri Paesi e soprattutto negli Stati Uniti.