Il Fatto 10.4.18
Nel tribunale dei big tech è “tutti contro Zuckerberg”
Chi
gode - Dal capo della Apple al re dell’eCommerce cinese, le prediche al
fondatore di Facebook, tra marketing e riflessioni sul bisogno di nuovi
modelli economici
di Virginia Della Sala
È
fondamentale che Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook, prenda sul
serio l’ondata di criticismo che si sta diffondendo in tutto il mondo
contro il social network. Dalle istituzioni agli utenti, è qualcosa che
non può essere ignorato. Dicono questo le parole di Jack Ma, l’uomo più
ricco della Cina e il fondatore del multimiliardario sito di eCommerce
Alibaba, estorte dalle domande dei giornalisti durante ilBoao Forum for
Asia. Vorrebbe evitare di parlarne, ma alla fine cede. “È il momento di
sistemare i problemi – dice -. È il momento di prenderli sul serio. E
penso che saranno risolti”. Chi parla ha ben chiaro il problema:
l’ondata di repulsione e l’attacco alla reputazione potrebbe colpire
anche il business di Alibaba da un momento all’altro. La velocità con
cui si cresce nell’online può essere la stessa con cui si muore. Online,
la reputazione è tutto. “Non dovremmo uccidere la compagnia a causa di
questi problemi – ha detto Ma –, Facebook 15 anni fa non si aspettava di
crescere così tanto. Sono venuti fuori tutti i problemi che non poteva
prevedere”.
La posizione più interessante da osservare dopo lo
scandalo Cambridge Analytica (con il quale si è scoperto che i dati di
milioni di utenti raccolti su Facebook erano non solo trasmessi ad
aziende terze rispetto a chi era autorizzato a prenderle ma anche usati
per cercare di influenzare le elezioni) è quella dei ‘grandi della
Terra’, i grandi del web, nell’accezione odierna. Grandi economicamente:
imperi costruiti sull’idea dell’innovazione e del digitale a tutti i
costi. Multinazionali che si sono ingrossate con Internet e le
tecnologie e che si esprimono contro o a favore di Zuckerberg a seconda
delle analogie tra il loro business e quelle del fondatore del social di
Menlo Park.
Prima di Jack Ma, il Ceo di Apple, Tim Cook, in
un’intervista a Msnbc e Recode ha ad esempio virtualmente
‘schiaffeggiato’ Zuckerberg: “Cosa farei se fossi al posto di Mark
Zuckerberg? – ha detto – Non sarei finito in questa situazione”.
Un’operazione d’immagine non da poco. A ridosso dello scandalo Cook ne
ha approfittato per rinforzare l’immagine della propria azienda e dei
suoi prodotti notoriamente inviolabili. “Potremmo fare un sacco di soldi
se monetizzassimo i nostri clienti, se i nostri clienti fossero il
nostro prodotto. Abbiamo scelto di non farlo. La privacy per noi è un
diritto umano, una libertà civile”. Posizione sostenuta, ieri, anche dal
co-fondatore di Apple, Steve Wozniak: “Ogni giorno – ha detto in una
mail inviata a Usa Today – gli utenti forniscono a Facebook dettagli
della loro vita e con questo Facebook fa un sacco di soldi dalla
pubblicità. I profitti si basano tutti sulle informazioni degli utenti
ma agli utenti non va niente”. Ha poi aggiunto che preferirebbe pagare
per Facebook piuttosto che lasciare che la pubblicità sfrutti le sue
informazioni personali. Gratuità contro pagamento: quando la polemica
scandita dalla cronaca si sarà placata resterà l’unico dibattito aperto,
su cui già da tempo ci si interroga. Tanto che lo stesso Zuckerberg,
nel rispondere a Cook ha sottolineato la differenza tra i loro modelli
di business. “Se vuoi creare un servizio che non sia solo per i ricchi
devi avere qualcosa che le persone possono permettersi. Penso che sia
importante non avere tutti la sindrome di Stoccolma e lasciare che le
aziende che lavorano duramente per farti pagare di più ti convincano che
in realtà si preoccupino di te mi sembra ridicolo”.
Non parla
Google, impegnato a rimbalzare le accuse mosse a Youtube e alla sua
gestione dei dati: ieri 20 studi legali hanno fatto sapere di aver
sporto un reclamo alla Federal trade commission, l’antitrust Usa, per la
raccolta di informazioni commerciali sui bambini e i loro gusti tramite
Youtube. Non parla Amazon, con il capo Jeff Bezos impegnato a
respingere la sempre maggiore pressione proveniente dal presidente Usa,
Donald Trump. Non parla Uber, che di dati trafugati e diffusi ha
un’esperienza approfondita dopo i leak dei mesi scorsi (dati rubati a
circa 57 milioni di utenti in tutto il mondo). Parla, invece, Elon Musk:
il fondatore di Tesla nelle settimane scorse ha cancellato le pagine
Facebook delle sue aziende, Space X e Tesla, e ha per primo sposato la
causa del boicottaggio al social network. Una piccola vittoria per uno
tra i pochi che da anni prova a mettere un freno all’eccessivo
tecno-entusiasmo e a mettere in guardia sulle conseguenze legate
all’intelligenza artificiale (che si nutre appunto di dati e
informazioni). A luglio si era scontrato con lo stesso Zuckerberg che
aveva bollato le parole di Musk come “superficiali e irresponsabili”.
Musk, con la sua solita irriverenza aveva risposto via Twitter: “Ne ho
parlato con Mark. La sua comprensione dell’argomento è limitata”. Oggi,
forse, sta avendo la sua piccola vendetta.