Il Fatto 10.4.18
Israele e lo spettro dell’Iran: missili oltre la linea rossa
Coinvolgimento
 - Raid contro la base di Teheran alleata di Damasco. Netanyahu teme il 
nemico alle porte (e il disimpegno americano)
Israele e lo spettro dell’Iran: missili oltre la linea rossa
di Fabio Scuto
È
 stata una notte frenetica in Medio Oriente e un’alba ancor più 
tempestosa. Nelle prime ore del mattino un gruppo di caccia ha penetrato
 lo spazio aereo libanese, ha trafitto quello siriano e lanciato 8 
missili contro Tyas, la più importante base aerea siriana. Sono state 
distrutte diverse installazioni nella base comunemente chiamata T-4 e la
 tv siriana ha annunciato almeno 14 morti, gran parte iraniani o 
miliziani filo-Teheran.
Lo sconvolgimento regionale continua e 
Israele, che non ha intenzione di restare ai margini, ha deciso di 
assumere un ruolo più attivo negli eventi in corso. Mentre la tv siriana
 ieri mattina accusava gli Stati Uniti del raid sulla base siriana, la 
Russia direttamente coinvolta al fianco del presidente Assad, ha puntato
 il dito contro Israele. Sono stati caccia con la Stella di David a 
colpire – per la terza volta in tre anni – la base di Tyas bucando le 
difese aeree libanesi a sud della città di Jounieh per poi sorvolare la 
valle della Bekaa fino all’obiettivo. Secondo versione russa 
dell’accaduto, 5 degli 8 missili sono stati intercettati dalle batterie 
antiaeree siriane. Israele oppone il suo abituale no comment 
sull’accaduto ma la conferma stavolta viene dagli Usa: il Pentagono è 
stato avvertito dagli israeliani nell’imminenza del raid. Nei sette anni
 di guerra civile siriana, Israele ha resistito al tentativo di 
coinvolgimento diretto ma ha stabilito delle “linee rosse” che intende 
rispettare. Ha annunciato che avrebbe contrastato in ogni modo il 
passaggio di armi sofisticate dalla Siria agli Hezbollah libanesi. E da 
allora circa un centinaio di attacchi con caccia e droni sono stati 
compiuti contro convogli e depositi di armi in Siria. Poi l’anno scorso 
il premier Benjamin Netanyahu ha tracciato un’altra “linea rossa”: il 
radicamento degli iraniani in Siria.
Questo ha già portato a uno 
scontro diretto nei cieli siriani a febbraio, con un caccia israeliano e
 un drone iraniano abbattuti in quel frangente.
Molti elementi 
sono contemporaneamente in movimento. L’attacco chimico denunciato dai 
ribelli su Duma (su cui non ci ancora sono evidenti prove), le vittorie 
dell’esercito di Assad contro i ribelli, la crescente influenza 
russo-iraniana in Siria e i chiari segnali del prossimo disengagement 
americano dal conflitto. Turchia, Russia e Iran la scorsa settimana ad 
Ankara hanno trovato un’intesa sulle sfere d’influenza in Siria di 
fronte alle vittorie di Assad.
Nonostante il lessico aggressivo – 
ieri ha annunciato “novità importanti entro 24-48 ore”, anche per non 
perdere la faccia come gli hanno fatto notare i democratici – Trump non 
si sta comportando diversamente dal suo precedessore Obama. Esattamente 
un anno fa ordinò un attacco missilistico (una cinquantina di missili 
Tomahawk) su una base militare siriana in risposta all’attacco chimico 
in Siria sulla cittadina di Khan Sheikhoun. Poi l’interesse del 
presidente è via via scemato. Se gli Usa dovessero colpire, Mosca – che 
sia schiera a fianco di Damasco nel denunciare l’attacco chimico a Douma
 come un provocazione – stavolta sarebbe costretta a far salire i toni, 
avviando una pericolosa escalation.
Gran parte di ciò che è stato 
deciso al vertice di Ankara è motivo di preoccupazione in Israele. 
Specie per la presenza iraniana in Siria che adesso si sposterà sulle 
colline del Golan, il prossimo fronte della guerra civile siriana. 
Proprio sul confine con Israele. Sviluppi che potrebbero accelerare gli 
sforzi israeliani per contrastare la presenza iraniana, come minaccia il
 premier Netanyahu dall’anno scorso e portare a uno scontro diretto 
dagli esiti imprevedibili. La “linea rossa” di Israele, specie lì lungo 
la frontiera a nord, si sta facendo sempre più sottile.
 
