Corriere La Lettura 1.4.18
Caucaso/1 Nazioni deboli e divise da duri contrasti
Gli armeni e gli azeri sono vasi di coccio
di Paolo Salom
A
vederle su una mappa, Armenia e Azerbaigian sembrano l’esemplificazione
del simbolo del Tao: un punto di bianco nel nero, un punto di nero nel
bianco. Ma a dispetto dell’armonia che il celebre cerchio filosofico
orientale suggerisce, la separazione dall’Azerbaigian dell’exclave
Nakhichevan (arginata per tre quarti dall’Armenia) e l’inclusione del
Nagorno Karabakh (etnicamente armeno e di fatto indipendente) nella
Repubblica azera, pur affondando nella storia, sono motivo di tensione
permanente e anche di scontri armati.
Dall’indipendenza, nel 1991,
dei due Paesi dalla morente Unione Sovietica, c’è stata una guerra
sanguinosa (1991-1992), poi continui atti di guerriglia, l’ultimo nel
2016. Vero è che il Caucaso non è mai stato terra di facili coesistenze,
la sua conformazione — orografica e umana — sembra nata per favorire le
rivalità piuttosto che la cooperazione.
Prendiamo l’Armenia:
praticamente priva di risorse naturali, arroccata su montagne con cime
che superano i 4 mila metri, oscilla tra sviluppo e recessione, mentre i
fili diplomatici che ne garantiscono la sopravvivenza corrono verso
Mosca piuttosto che Bruxelles.
Il vicino Azerbaigian? Più
fortunato dal punto di vista energetico — è ricco di petrolio — degrada
dai monti dell’Armenia in una pianura che scende verso le acque chiuse
del Mar Caspio, dove peraltro sorge Baku, capitale dal dolce clima
mediterraneo: qui, dagli anni Novanta, «regna» la famiglia Aliyev, con
lo scettro presidenziale passato dal padre Heidar al figlio Ibrahim.
Cristiani
gli armeni, musulmani gli azeri. Incerti se affidarsi alle cure
dell’Europa, entrambi i popoli vivono nella convinzione che le potenze
più vicine (e con scrupoli politici minimi) siano determinanti per
mantenere l’indipendenza costata tantissimo. Non deve sorprendere che il
presidente armeno Serz Sargsyan abbia preferito la sicurezza di un
accordo di ferro con Mosca,trascurando l’Europa: la realtà del Caucaso
lascia poco spazio alla politica dei princìpi. Erevan è una capitale
stretta tra Turchia (gli armeni hanno ottima memoria e non dimenticano
il genocidio patito nel 1915-16), Iran e, appunto Azerbaigian: dove
altrimenti potrebbe trovare la garanzia della protezione che le montagne
da sole non possono assicurare?
L’Azerbaigian è più libero di
giocare sullo scacchiere delle alleanze: ma come arginare la spinta
culturale che lo lega a Teheran in un abbraccio che talvolta si fa
soffocante? È forse per questo che le classi dirigenti a Baku continuano
a parlare russo tra di loro? In questa difficile equazione, dove le
variabili sono capaci di alterare il risultato in ogni momento, sarebbe
opportuno inserire anche la Cecenia. La piccola repubblica autonoma
inclusa nella Federazione russa è già fisicamente inserita nel contesto
strategico che vede Mosca come l’unico faro possibile. Tuttavia la
lezione della storia resta un monito per tutti nell’area. Quando la
Russia è debole, impera il caos; quando la Russia è forte, la stabilità
si paga a caro prezzo: quello della libertà.