Corriere La Lettura 1.4.18
Campanella, la libertà tra le righe
Il
pensatore in sospetto di eresia concluse la sua vita onorato alla corte
di Francia, ma aveva trascorso circa trent’anni in carcere
Non poteva esprimersi apertamente, perciò si è molto discusso sul significato delle sue opere
di Michela Valente
«Dunque
a diveller l’ignoranza io vegno», così si presentava Tommaso
Campanella, il filosofo noto soprattutto per la sua opera utopistica, La
Città del Sole , che scrisse nel 1602, vagheggiando una società più
equa. Nel Novecento si contano centinaia di edizioni e traduzioni della
Città del Sole , anche negli Stati del blocco sovietico, mentre alti
prelati hanno rivendicato anche recentemente l’ortodossia cattolica di
Campanella: ispiratore di una società comunista o buon teologo
domenicano? Con il libro Tommaso Campanella (Laterza), Luca Addante ci
guida nel labirinto di fini ricostruzioni documentarie, laboriosi scavi
filologici, tortuose riabilitazioni e interpretazioni, spesso
interessate, del pensiero campanelliano.
Campanella, figlio di un
ciabattino, era nato a Stilo, nell’entroterra jonico calabrese, nel 1568
e chi oggi arrivi lì, con lo sguardo che avvolge gli ulivi resistenti,
la montagna arsa e il mare che appare infinito, si chiede come un figlio
di quella terra possa essere finito a Parigi, osannato, alla corte di
Luigi XIII, un traguardo luminoso raggiunto però dopo aver trascorso più
di trent’anni in carcere tra Napoli e Roma.
Giovanissimo era
entrato nell’ordine dei domenicani e, sin dai primi anni di formazione,
aveva attirato su di sé sospetti per il suo entusiasmo nei confronti
della filosofia di Bernardino Telesio e per le sue frequentazioni
pericolose: si accompagnava infatti con un ebreo e con dotti, come
Giambattista Della Porta, non propriamente ortodossi. Sin da subito si
scontrò con le ostilità e le resistenze della Chiesa, finendo in
carcere. A nulla valsero i viaggi perché anche a Padova fu perseguito e
quindi finì nelle celle inquisitoriali romane, dove incontrò l’eretico
Francesco Pucci e Giordano Bruno. Tornato a Stilo, nel 1599 Campanella
provò a far «sollevar la Calabria»; fu infatti tra i promotori di una
rivolta antispagnola, e ancora una volta fu arrestato e processato per
ribellione politica ed eresia. In quell’occasione, per evitare la
condanna capitale, Campanella si finse pazzo e il canone della pazzia
ricorre nelle letture coeve e successive.
Tra alterne vicende,
potendo godere di qualche minimo agio, rimase detenuto fino al 1626.
Nonostante questa drammatica condizione, scrisse moltissimo e di tutto,
dalla poesia, alla teologia, alla politica, alla filosofia naturale e le
sue opere furono lette e tradotte in tutta Europa. Nella Repubblica
delle lettere il nome di Campanella era noto, il più delle volte per le
accuse di libertinismo e di eresia, e solo talvolta per gli elogi come
filosofo audace. Campanella perorò la causa di Galileo Galilei e scrisse
anche L’ateismo trionfato , un capolavoro nonostante l’autocensura e i
cambiamenti imposti. Poi nel 1634, dopo aver trascorso altri anni di
detenzione, fuggì in Francia, dove morì nel 1639.
Nella stagione
risorgimentale, l’immagine di Campanella si trasformò: per alcuni
interpreti, fu martire del libero pensiero e vittima della Chiesa di
Roma, mentre per altri fu protosocialista. Al contempo, si presentava
l’idea di un ravvedimento e quindi di una conversione di Campanella,
tornato nel grembo della Chiesa. Nel corso dell’Ottocento Alessandro
d’Ancona, Bertrando Spaventa e Luigi Amabile inaugurarono una nuova
stagione di studi campanelliani, proseguita da Giovanni Gentile, da
Luigi Firpo e infine da Germana Ernst: grazie a loro, di Campanella
possono leggersi edizioni e traduzioni attendibili. Nel 1995 Germana
Ernst ed Eugenio Canone hanno fondato una rivista, «Bruniana &
Campanelliana», a testimoniare il grande interesse internazionale verso i
due filosofi.
Ora per ricordare il filosofo a 450 anni dalla sua
nascita, Luca Addante si cimenta con il mito, liberandolo da apologetica
e polemica, senza indugiare e giudicare vincitori e vinti di una
battaglia storiografica che si è combattuta e si combatte ancora. Nella
penisola italiana schiacciata dalla Spagna, resistevano effervescenze di
spirito e di ingegno: Campanella fu tra queste e in lui riaffiorano
fiumi carsici della Riforma radicale declinati con lo spirito del tempo e
con le nuove istanze filosofico-scientifiche. La libertà e l’anelito a
conquistarla sono la cifra di questo pensatore. Per sopravvivere,
Campanella, come molti altri, convinto che «il secolo futuro giudicarà
noi, perché il presente sempre crucifige i suoi benefattori», usò la
simulazione, la maschera con la quale creò le sue opere, sollecitando a
leggere tra le righe, come avrebbe detto qualche secolo dopo Leo
Strauss, un altro che si trovò a scrivere in tempi non liberi.