domenica 1 aprile 2018

Corriere La Lettura 1.4.18
Intervista A 100 anni dall’indipendenza
Cechi e slovacchi: l’unità equivoca che nel 1989 restò senza difensori
di Antonio Carioti


Cento anni fa, con la dissoluzione dell’Impero austro-ungarico, nasceva la Cecoslovacchia. Cinquant’anni fa gli occhi dell’Europa erano puntati su Praga, dove si sperimentava il «socialismo dal volto umano» di Alexander Dubcek, poi stroncato dall’invasione sovietica. Oggi la Cecoslovacchia non c’è più: al suo posto sorgono la Repubblica Ceca e la Slovacchia. Abbiamo ripercorso il tentativo di unire popoli dalle lingue molto simili, ma dalle tradizioni diverse, insieme allo studioso francese Étienne Boisserie, autore del recente libro Les Tchèques dans l’Autriche-Hongrie en guerre («I cechi nell’Austria-Ungheria in guerra»), che dal 18 al 20 aprile sarà a Trento per un convegno sulla Grande guerra.
Come riuscirono cechi e slovacchi a ottenere l’indipendenza nel 1918, al termine del primo conflitto mondiale?
«Fu il risultato di un processo complesso, alimentato all’esterno e all’interno dell’Impero asburgico. All’estero il nazionalista ceco Tomáš Masaryk e il Consiglio nazionale costituito nel 1916 cercarono di creare le condizioni per combattere al fianco dell’Intesa contro gli Imperi centrali e ottenere lo statuto di belligeranti, per trarne benefici alla fine della guerra. A questo scopo, reclutando i loro connazionali presi prigionieri dall’Intesa, formarono Legioni di volontari cecoslovacchi operanti su vari fronti, anche in Italia. All’interno il processo fu ben diverso. Fino all’estate del 1917 la grande maggioranza delle forze politiche e sociali rimase fedele a Vienna e all’ideale dell’austroslavismo teorizzato dagli stessi cechi nel corso del XIX secolo. Solo all’ultimo gli elementi lealisti furono messi da parte nei vari partiti, dove s’imposero uomini più radicali e legati alle forze in esilio».
Perché questo cambio di rotta?
«Lo slittamento fu causato dal degrado delle condizioni di vita e dall’incapacità dello Stato di porvi rimedio, oltre che dal progressivo allineamento dell’Austria alla Germania. Ma l’indipendenza cecoslovacca s’impose come soluzione tardivamente, nell’estate del 1918, quando gli Alleati considerarono che nessun ordine europeo poteva essere costruito nel dopoguerra tenendo in piedi l’Impero asburgico. In questo quadro le spinte nazionaliste, riguardanti tutti i popoli dell’Impero, ivi compresi tedeschi e ungheresi, produssero i loro effetti nell’ottobre 1918. Ma il ruolo di cechi e slovacchi non si può ritenere decisivo».
La parte ceca era sviluppata industrialmente e secolarizzata, quella slovacca agricola e cattolica. Fu un errore creare un nuovo Stato fondendo popoli che presentavano un divario così netto?
«La differenze religiose e culturali non vanno trascurate nel considerare il destino della Cecoslovacchia. È vero che le due nazioni si erano costruite su modelli differenti. E la divergenza si era accentuata dopo il compromesso del 1867, da cui era nata la Duplice Monarchia asburgica, con le traiettorie di sviluppo separate seguite dai cechi nella parte austriaca e dagli slovacchi in quella ungherese dell’Impero. Ma il fatto fondamentale è che quel Paese non ha mai superato davvero le ambiguità iniziali della sua creazione. In sintesi: per i cechi il nuovo Stato era una versione ottimale del programma storico di restaurare l’indipendenza perduta. Invece per gli slovacchi esso era il quadro che doveva permettere il riconoscimento nazionale e culturale a cui aspiravano dalla metà del XIX secolo. Colpisce, a posteriori, la forza mantenuta da questi paradigmi storici fino alla separazione sancita il 1° gennaio 1993».
Il sistema di stampo sovietico instaurato a Praga nel 1948 ha influenzato il rapporto tra i due popoli?
«È difficile dire che il regime comunista abbia pregiudicato le relazioni tra cechi e slovacchi. D’altro canto nel corso di quel periodo storico nessuna delle difficoltà di articolazione tra la visione ceca e quella slovacca è stata ridotta. Il potere alternava fasi di negazione della questione a tentativi di affrontarla. Quando si è verificata la rivoluzione del 1989, nessuno dei problemi di f0ndo era stato risolto e, come sempre nella storia cecoslovacca, l’instaurazione di un regime democratico ha determinato una riapertura del dibattito sui rapporti reciproci».
Ma la secessione poteva essere evitata?
«In quel momento sono le forze disponibili per una mediazione che sono venute a mancare. La Cecoslovacchia è scomparsa perché non poteva appoggiarsi, nelle due parti dello Stato, a forze politiche e sociali che considerassero il suo mantenimento come una soluzione preferibile alla spartizione».