Corriere La Lettura 15.4.18
Crociate senza pregiudizi
Non furono imprese barbare nè civilizzatrici
Tramontarono perché i cristiani erano divisi
di Paolo Grillo
Verso
il 1910 un giovane archeologo inglese, Thomas Edward Lawrence, si mise a
esaminare quanto restava dei castelli crociati del Medio Oriente. La
sua ricerca voleva rispondere, con osservazioni di prima mano, a una
domanda allora (e oggi) molto in voga, ossia se le fortificazioni latine
nell’area fossero frutto di un’elaborazione autonoma o derivassero da
quelle bizantine, a loro volta eredi della tradizione romana classica.
Colpisce, leggendo lo studio I castelli dei crociati , ora riproposto da
Castelvecchi, che scarsa o nulla sia l’attenzione dedicata dal futuro
ufficiale e scrittore Lawrence d’Arabia ai possibili influssi
dell’architettura araba e persiana. Ma non bisogna stupirsene, dato che
all’epoca la lettura più comune delle Crociate era ancora retorica e di
parte, con una schematica divisione fra i «buoni» europei e cristiani e i
«cattivi» levantini e islamici.
Con il passare degli anni questa
immagine è stata sostituita da un’altra, speculare e altrettanto falsa,
ma oggi molto diffusa, che raffigura i crociati come un gruppo di
guerrieri violenti, fanatici e assetati di sangue. Non si spiega,
ovviamente, come questi bruti siano riusciti a costruire degli Stati in
Terrasanta destinati a sopravvivere per quasi due secoli (sei volte più a
lungo, per intenderci, di quanto sulle stesse terre siano riusciti a
restare i colonizzatori britannici e francesi nel Novecento) e a entrare
da protagonisti nelle complesse trame diplomatiche mediorientali (anche
il mito di un islam compatto e contrapposto ai crociati va ridiscusso,
dato che già all’epoca i musulmani in Medio Oriente erano divisi fra
turchi e arabi e fra sciiti e sunniti non meno di quanto i loro
avversari erano distinti fra latini e greci, cattolici e ortodossi).
Campagne ben pianificate
Gli
studi più recenti sembrano per fortuna aver messo da parte i
preconcetti, positivi o negativi che fossero. Hanno inoltre superato la
semplice ricostruzione politico-militare o ideologica delle Crociate,
per prendere invece in considerazione aspetti meno noti, come la
pianificazione, l’organizzazione, il finanziamento e la propaganda delle
spedizioni. Proprio a questi temi ha dedicato un denso volume lo
storico britannico di Oxford Christopher Tyerman, che con una scrittura a
un tempo documentata e brillante, pur poco valorizzata da una
traduzione approssimativa, ci spiega Come organizzare una crociata
(Utet) invitandoci a superare l’idea che quelle spedizioni nascessero da
moti spontanei di masse di fedeli fanatizzati. Si trattava invece di
campagne razionalmente pianificate e dirette con mano salda dai prìncipi
dell’epoca o dai papi.
Tale cura si manifestò sin dagli inizi.
Fra l’appello alla Crociata pronunciato nel 1095 da Papa Urbano II a
Clermont, in Francia, e l’effettiva partenza della spedizione passò
oltre un anno. In questo periodo non solo si radunarono le truppe, ma si
raccolsero informazioni da mercanti e pellegrini, si accumularono
denaro e provviste, si conclusero accordi con i sovrani cristiani
dell’Europa orientale e con l’Impero bizantino per avere aiuti e
rifornimenti. Tutto questo ebbe un’importanza decisiva nel determinare
l’inaspettato successo della campagna che portò, come è noto, alla
conquista di Gerusalemme nel luglio del 1099.
La Seconda Crociata
(1145-1149) fu un fallimento strategico, per la mancanza di obiettivi
chiari, tattico, vista l’incapacità dimostrata dai cavalieri francesi e
imperiali nell’affrontare i mobili arcieri turchi, e logistico, dato che
il denaro raccolto si dimostrò insufficiente e una parte delle truppe
si sbandò durante le marcia. La lezione fu però imparata in occasione
della Terza (1189-92), volta a recuperare la Terrasanta, che nel 1187
era stata quasi totalmente occupata dalle forze siro-egiziane del
Saladino. Il re di Francia Filippo Augusto e, soprattutto, quello di
Inghilterra Riccardo Cuor di Leone pianificarono con cura il
finanziamento della spedizione, la mobilitazione delle truppe e il
viaggio, in modo da arrivare insieme in Palestina, uno da terra e
l’altro dal mare. I crociati non furono in grado di prendere
Gerusalemme, ma riuscirono a liberare quasi tutte le città costiere e
diverse fortezze nell’entroterra, garantendo un altro secolo di vita
agli Stati latini in Medio Oriente.
Culmine e declino
Il
momento migliore per il movimento crociato si ebbe nella prima metà del
Duecento, quando la capacità di predicazione degli ordini mendicanti, le
nuove procedure di registrazione contabile affermatesi
nell’amministrazione e il crescente potenziale economico dell’Europa
permisero l’elaborazione di ulteriori, ambiziose spedizioni sotto la
guida dei Pontefici. Di fronte allo stallo militare sancito dalla Terza
Crociata, che vedeva i musulmani incapaci di conquistare le città
costiere e i cristiani in difficoltà nell’avanzare verso l’interno,
furono sperimentate nuove strade. Nel 1204, la Quarta Crociata non
raggiunse la Terrasanta, ma si impadronì di Costantinopoli. Nel 1217-21,
la Quinta riuscì a occupare per cinque anni la costa egiziana e solo
per mancanza di elasticità diplomatica i suoi capi non accettarono la
restituzione di Gerusalemme in cambio del ritiro delle truppe. Più
tardi, nel 1228-29, l’imperatore Federico II di Svevia approfittò di una
favorevole congiuntura politica per ottenere pacificamente l’accesso a
una Gerusalemme dichiarata città aperta.
L’apogeo di questa
stagione fu la crociata condotta dal re di Francia Luigi IX «il Santo»
contro l’Egitto, che vide la mobilitazione di colossali mezzi
finanziari, un’accurata pianificazione che giunse a prevedere la
fondazione di un nuovo porto mediterraneo (Aigues Mortes) come base
logistica, lo sbarco di un esercito altamente professionale e motivato,
guidato dal suo sovrano in persona. Proprio per questo, però, agli occhi
dei contemporanei risultò ancora più drammatico l’esito finale della
campagna, che dopo alcuni successi iniziali vide le forze di Luigi
annientate nella battaglia di Mansura (1250) e la caduta dello stesso
sovrano in mani islamiche. Alle residue speranze dei latini diede il
colpo di grazia l’ancor più disastrosa spedizione condotta da Luigi IX
contro Tunisi nell’estate del 1270. Una guerra incomprensibile, contro
uno Stato amico degli occidentali, e terminata nell’umiliazione della
morte per dissenteria del re e di gran parte dei suoi uomini ancor prima
che potessero dare battaglia al nemico.
A questo punto,
l’opinione pubblica occidentale era ormai diventata scettica nei
confronti delle Crociate. Troppe erano state le sconfitte, troppe le
malversazioni compiute da chi doveva raccogliere i fondi e, soprattutto,
troppe le deviazioni dall’idea originaria.
Dagli inizi del
Duecento, infatti, i pontefici avevano assunto il controllo di queste
spedizioni, indirizzandole anche contro obiettivi ben lontani dalla
Terrasanta, come la Linguadoca degli eretici catari, le tribù pagane
delle coste baltiche o talvolta i loro stessi avversari politici
cattolici. Le crociate «interne» spesso ottenevano più appoggio e
attenzione di quelle contro gli infedeli. Così, ad esempio, per circa
tre anni, fra il 1264 e il 1266, tutte le energie del papato erano state
dedicate a propagandare una crociata contro «il sultano di Lucera»,
ossia Manfredi di Svevia, figlio di Federico II e re di Sicilia. Nel
1297, mentre tutti si aspettavano che Bonifacio VIII organizzasse una
spedizione oltremare per riconquistare la Terrasanta — il cui ultimo
brandello cristiano, Acri, era caduto nelle mani dei mamelucchi egiziani
sei anni prima — il Papa bandì invece una «crociata» contro i suoi
rivali romani, capeggiati dalla famiglia Colonna. In questa nuova e
disincantata stagione ci accompagna il libro di Antonio Musarra su Il
crepuscolo della Crociata (il Mulino).
Il patto (mancato) con i mongoli
Nei
decenni centrali del Duecento, inoltre, il quadro politico
mediorientale era cambiato profondamente. In Egitto, anche in reazione
ai ripetuti attacchi crociati, avevano preso il potere i mamelucchi,
efficienti militari di professione di origine turca, mentre la Persia e
l’attuale Iraq erano stati invasi dai mongoli, che vi avevano costituito
un proprio Stato, noto come Il-Khanato. Gli egiziani a loro volta
avevano conquistato anche la Siria e costituito un sultanato
ideologicamente avverso alla presenza cristiana in Terrasanta, anche se
disponibile a condurre lucrosi affari con i mercanti italiani. I
mongoli, invece, erano interessati all’amicizia con i regni latini, al
fine di aggredire su due fronti l’ostile potenza mamelucca. Nonostante
le grandi distanze geografiche e culturali i contatti furono ripetuti e
intensi: per oltre mezzo secolo si ripropose periodicamente il sogno di
una grande alleanza cristiano-mongola destinata a dividersi il Medio
Oriente a spese degli arabi e dei turchi. Il progetto però non si
realizzò a causa dei conflitti che dilaniavano l’Occidente e delle
difficoltà di successione ai vertici dell’Il-Khanato.
La
«razionalità» messa in evidenza nel saggio di Tyerman raggiunse proprio
in quest’epoca il suo apice. La trattatistica «scientifica» su come
organizzare spedizioni militari per riconquistare la Terrasanta divenne
allora un vero genere letterario che vide impegnati frati, filosofi,
medici, politici e persino alcuni re. Sono testi di grande interesse,
che analizzano le variabili politiche (le auspicate alleanze con i
mongoli in funzione anti-islamica), economiche (possibilità e
conseguenze di un blocco navale contro l’Egitto) nonché logistiche e
militari delle progettate spedizioni, anche se non sempre con effettivo
realismo.
Meglio il giubileo
La «razionalità», però, agiva
anche in un altro senso. Sullo scorcio del Duecento sembra essersi perso
il grande afflato ideologico e religioso che fra XI e XII secolo aveva
saputo fondersi in maniera indolore con gli egoismi particolari. Ora
questi ultimi prevalevano nettamente e finivano col paralizzare ogni
iniziativa. Angioini e aragonesi vedevano una possibile crociata come
strumento per affermare la propria supremazia nel Mediterraneo. Genovesi
e veneziani erano maggiormente interessati a contendersi le grandi
rotte commerciali: quella con Costantinopoli e il Mar Nero, controllata
dai primi, e quella con Alessandria e il Mar Rosso, dove agivano i
secondi. Gli stessi ordini cavallereschi monastico-militari — Templari,
Ospitalieri e Teutonici — erano in perenne competizione fra loro e non
riuscivano a coordinare le proprie azioni militari.
A partire dal
XIV secolo le Crociate non scomparvero, ma non privilegiarono più come
obiettivo la Terrasanta e Gerusalemme. D’altronde, il grande giubileo
indetto da Papa Bonifacio VIII nell’anno 1300 assicurava a chi si recava
in pellegrinaggio a Roma gli stessi benefici spirituali che spettavano a
chi prendeva la croce per opporsi gli infedeli. Gerusalemme era ormai
irrimediabilmente perduta, ma Roma rappresentava una valida alternativa:
l’Occidente bastava a sé stesso, anche sulla via della salvezza.