Corriere La Lettura 15.4.18
Nel 1282 la repubblica mercantile della Serenissima creò una struttra pubblica che emetteva moneta
Così Venezia inventò la Banca centrale
di Stefano Ugolini
Tra
le varie componenti della complessa macchina dello Stato moderno, le
banche centrali sono forse l’ingranaggio più oscuro e controverso. I
sempre più frequenti attacchi lanciati dai politici all’indirizzo dei
banchieri centrali sono prova, oltre che di una larga incomprensione,
anche di una certa insofferenza verso la formale indipendenza dei
secondi dai primi. Da circa una trentina d’anni il principio della
separazione fra autorità fiscali (il Tesoro) e autorità monetarie (la
banca centrale) è stato integrato nella «costituzione materiale» di
quasi tutti i Paesi occidentali quale soluzione al problema della
tentazione inflazionista della politica: obbligati a proiettare la
propria azione su un orizzonte temporale troppo corto, i politici
avrebbero infatti un’inevitabile tendenza a finanziare la spesa pubblica
(assai popolare nell’immediato) attraverso un ricorso immoderato
all’emissione monetaria (il cui impopolare effetto, l’inflazione, si
materializza con un certo ritardo).
In società caratterizzate da
cicli politici troppo corti, il divorzio fra autorità fiscali e autorità
monetarie permetterebbe dunque di attuare l’emissione monetaria
compatibilmente con un obiettivo di più lungo periodo quale la difesa
della stabilità dei prezzi.
La «separazione dei poteri» fra il
Tesoro e una banca centrale pubblica ma indipendente non è una soluzione
ottimale in assoluto, ma solo l’ultima di una lunga serie di formule
sperimentate nel corso dei secoli per trovare un equilibrio fra due
obiettivi contraddittori: potenziare le finanze pubbliche attraverso il
ricorso all’emissione monetaria e preservare l’«attrattività» della
moneta agli occhi dei suoi potenziali detentori. Poiché la forza di
qualsivoglia entità statuale è sempre stata direttamente proporzionale
alla sua capacità di mobilitare delle risorse, tale problema si è
costantemente posto fin dagli albori della storia.
Il mondo antico
Le
civiltà agricole dell’antico Egitto e della Mesopotamia erano
strutturate attorno a organizzazioni polivalenti che permettevano una
gestione centralizzata della vita politica, sociale ed economica. Fra le
loro varie funzioni (regge, caserme, templi, tribunali, granai...),
queste esercitavano anche il ruolo di banche: i loro fornitori
(tipicamente, gli aristocratici che versavano i raccolti delle loro
terre nei granai pubblici) se ne vedevano accreditato su un conto
corrente il valore corrispondente, che poteva in seguito essere
trasferito a persone terze. Queste (sorprendentemente moderne) pratiche
di emissione monetaria apparvero molti secoli prima dell’invenzione
della moneta metallica, ideata dalle bellicose popolazioni dell’antica
Grecia per remunerare i mercenari stranieri a cui facevano spesso
ricorso. Adottata dai Romani all’epoca della conquista del Mediterraneo,
la coniazione di moneta metallica rimase l’unica forma di emissione
monetaria allorché la caduta dell’Impero piombò l’Europa nell’anarchia.
Le città-Stato medievali
Forme
di emissione monetaria alternative alla moneta metallica riemersero nel
tardo Medioevo. Furono le cosiddette «repubbliche mercantili»
(città-Stato governate da oligarchie di uomini d’affari) a creare i
primi prototipi di banche centrali. Come le monolitiche società della
«Mezzaluna Fertile», anche queste città non adottarono però il principio
della «separazione dei poteri» fra autorità monetarie e fiscali. Tale
separazione sarebbe infatti stata ridondante nell’assetto costituzionale
di queste repubbliche: i creditori dello Stato (coloro che utilizzavano
la moneta emessa) erano soprattutto i grandi capitalisti locali, cioè
esattamente coloro che avrebbero deciso come le risorse prese in
prestito sarebbero state impiegate. Il rischio di una perpetua deriva
inflazionista era dunque minimo: i creditori sapevano che il governo
avrebbe emesso moneta esclusivamente al fine di difendere i loro
superiori interessi, e che eventuali periodi di sovraindebitamento e
inflazione (tipicamente dovuti a conflitti militari) sarebbero stati
inevitabilmente seguiti da periodi di austerità e deflazione.
Le banche di Rialto
Fra
le «repubbliche mercantili» dell’Europa medievale, il caso più
esemplare fu quello di Venezia. Come le antiche civiltà mediorientali,
fu attorno all’ufficio preposto al vettovagliamento della città (la
Camera del Frumento) che Venezia creò nel 1282 la sua prima Banca di
Stato. L’esperimento durò fino al 1365, quando la Serenissima
«esternalizzò» l’emissione monetaria al mercato: dopo aver conferito
potere liberatorio alla moneta emessa dalle banche private, lo Stato
cominciò a rifinanziarsi attraverso queste ultime. Oltre due secoli di
crisi e di salvataggi bancari mostrarono i limiti della scelta compiuta,
e nel 1587 la Repubblica fu costretta a «re-internalizzare» l’emissione
di moneta con la fondazione di una nuova banca di Stato (il Banco della
Piazza di Rialto, sostituito in seguito dal Banco del Giro). Questa
soluzione garantì una relativa stabilità monetaria alla Serenissima fino
alla sua caduta, e fu imitata dalle altre principali piazze finanziarie
dell’epoca (Amsterdam e Amburgo), che crearono a loro volta (nel 1609 e
1619 rispettivamente) delle banche pubbliche sul modello veneziano.
A Genova
Fra
le «repubbliche mercantili», Genova fu l’eccezione che conferma la
regola, caratterizzandosi per una straordinaria litigiosità dei suoi
oligarchi che impedì il raggiungimento di uno stabile equilibrio
costituzionale. Per ristabilire la credibilità del suo debito pubblico,
lo Stato dovette «esternalizzarne» la gestione a una compagnia privata
formata dai suoi creditori (la Casa di San Giorgio, fondata nel 1407 e
scomparsa insieme alla Repubblica).
Neanche questa soluzione fu
però improntata al principio della «separazione dei poteri»: Genova
privatizzò infatti non soltanto le sue competenze monetarie, ma anche
parte di quelle fiscali, votandosi di fatto a un’austerità permanente e a
un ruolo geopolitico di secondo piano.
Le monarchie territoriali moderne
Negli
Stati territoriali dell’età moderna, i creditori dello Stato non
avevano alcun controllo sulla spesa pubblica, decisa da sovrani più o
meno assoluti in funzione di interessi non necessariamente coincidenti
con i loro.
Contrariamente alle «repubbliche mercantili», nelle
monarchie territoriali una deriva inflazionista perpetua era dunque un
rischio concreto. Fu proprio per vincere la naturale diffidenza dei
creditori che questi Stati cominciarono dunque a ricorrere al principio
della «separazione dei poteri», affidando l’emissione monetaria a
un’istituzione formalmente indipendente dal monarca. Nel Regno di
Napoli, essa fu affidata a un certo numero di organizzazioni «no-profit»
come il Monte di Pietà (1539); in Svezia, a una banca controllata dal
Parlamento (allora organo di rappresentanza dei creditori), la Riksbank
(1668); in Austria, a una banca controllata dal governo municipale di
Vienna (cioè dai grandi mercanti della capitale), il Wiener Stadtbanco
(1705). In Inghilterra, invece, l’emissione monetaria fu
«esternalizzata» a una compagnia privata formata dai creditori della
nuova dinastia, la Banca d’Inghilterra (1694).
Tutte queste
soluzioni si rivelarono relativamente efficaci, finché non furono messe a
dura prova dal finanziamento delle lunghe guerre napoleoniche.
Le democrazie contemporanee
Quasi
tutte le attuali banche centrali europee furono fondate nel corso
dell’Ottocento come compagnie private, sul modello della Banca
d’Inghilterra. Ma l’industrializzazione estese progressivamente l’uso
della moneta fino alle classi più umili, allargando il gruppo dei
creditori dello Stato da una piccola élite altoborghese a una vasta
fetta della società. In questo nuovo equilibrio, i privilegi delle
banche centrali private divennero sempre meno giustificabili, e la
maggior parte di esse vennero dunque nazionalizzate nella prima metà del
Novecento. La completa «re-internalizzazione» dell’emissione monetaria
da parte dello Stato durò fino agli anni Ottanta, quando le grandi
inflazioni seguite allo choc petrolifero resero il principio della
«separazione dei poteri» nuovamente popolare. In Europa, l’indipendenza
della banca centrale fu dapprima reintrodotta su scala nazionale e poi
incapsulata nel Trattato di Maastricht (1992) che disegnò la Banca
centrale europea.
La lunga storia dell’emissione monetaria
dimostra dunque come il principio della «separazione dei poteri» non sia
una legge economica universale, ma piuttosto una soluzione contingente,
storicamente situata in un assetto costituzionale ben preciso. In
realtà politica fiscale e politica monetaria non sono affatto
separabili, essendo nient’altro che le due facce della stessa medaglia.
Ciononostante, la formale indipendenza della banca centrale dal Tesoro
ha effettivamente permesso di sottrarre la prima al «cortotermismo» di
cui il secondo è inevitabilmente vittima. E dovrebbe continuare a
permetterlo in futuro, perlomeno fino a quando gli equilibri
costituzionali odierni non saranno compromessi.