Corriere La Lettura 15.4.18
Fu pellegrinaggio anche se armato Non chiamatela guerra santa
di Franco Cardini
«Le
Crociate furono più di sette», afferma Cesare Pavese nei Dialoghi con
Leucò . Altroché: nate nell’XI secolo quando ancora non si chiamavano
così (c’erano i cruce signati , i «crociati»: ma la parola «crociata»
sarebbe stata impiegata più tardi), continuarono fino al Settecento, per
quanto allora non si denominassero più in quel modo. Avviate per
rivendicare alla cristianità occidentale il possesso di Gerusalemme, nel
XIV-XV secolo si trasformarono in campagne tese a contenere
l’espansionismo turco.
La Crociata è una realtà proteiforme che
attraversa la storia dell’Occidente e che qua e là sembra ricomparire,
soggetta ad equivoci revival. È sequenza d’imprese militari, movimento,
idea-forza religioso-politica, istituzione giuridica e addirittura
finanziaria, sentimento, mito. Ma una cosa non è: guerra santa. Molte
imprese crociate sono state definite così, ma solo in senso retorico:
nessun giurista, canonista o teologo ha mai sostenuto che nella realtà
cristiana — la quale pur conosce la teoria agostiniana dello iustum
bellum , la «guerra giuridicamente legittima» (non semplicemente
«giusta») — esistano conflitti in grado di santificare individualmente
chi li combatte. Giacché la «santità» è qualifica individuale, che
spetta solo a chi eserciti in grado eroico le virtù cristiane. Ci si può
santificare anche in guerra: ma non esiste guerra «santa» in sé e per
sé.
Qual è allora la connotazione caratteristica delle Crociate?
Nell’XI secolo, allorché assumono i nomi originari di itinera
jerosolymitana (più tardi saranno definite passagia ; il termine
cruciata , spurio, apparirà nel Duecento), esse hanno un carattere
preciso, che la letteratura epica e le cronache definiscono come
rivendicazione del possesso cristiano dei Luoghi Santi conseguito
attraverso la disposizione al martirio. Così si esprimono anche i primi
documenti canonici, le prime bolle papali e le versioni cronistiche più o
meno coeve che ci testimoniano indirettamente la celebre allocuzione di
Urbano II a Clermont in Alvernia, nel novembre 1095, diretta ad alcuni
milites («cavalieri») e mirante a convincerli a dirigersi verso
l’Oriente, dove l’imperatore di Bisanzio reclutava mercenari da opporre
ai musulmani.
Dietro ai cavalieri si mossero pellegrini
originariamente inermi: ma durante il viaggio, iniziato nel 1096, la
spedizione mutò carattere fino a giungere alla conquista di Gerusalemme.
Presa la Città Santa, bisognava difenderla. Il voto di pellegrinaggio
divenne quello dell’assunzione del distintivo che lo qualificava, una
croce di stoffa. Le fonti liturgiche descrivono ciò che anche le
cronache registrano: fino alle due Crociate di Luigi IX, il santo re di
Francia, nel 1248 e nel 1270, l’assunzione della croce è un rito di
pellegrinaggio. Insieme alla croce, si consegnano a colui che parte le
insegne del bastone e della piccola sacca detta scarsella. La crociata è
un pellegrinaggio armato, in deroga agli antichi canoni, per cui il
pellegrino doveva essere un penitente inerme. La necessitas arma la mano
di viaggiatori che dovranno anche combattere, ma per tutto il resto
hanno doveri, diritti e privilegi analoghi a quelli degli altri
pellegrini. Il rito venne abbandonato verso la fine del Medioevo, anche
perché ormai Gerusalemme non era più l’obiettivo primario di chi andava a
combattere gli infedeli. Ma ne restarono vistose tracce, specie nella
tradizione degli ordini religioso-cavallereschi.