Corriere 9.6.18
Orbán signore assoluto dell’Ungheria Avrà due terzi dei seggi in Parlamento
Trionfo del leader populista. Secondi i nazionalisti, sinistra al 12%. Affluenza record
di Paolo Valentino
BUDAPEST
L a notte più lunga di Viktor Orbán si conclude con un successo
superiore a tutte le previsioni della vigilia. Con il conteggio dei voti
andato avanti fin nelle prime ore di stamane, il premier magiaro è in
dirittura d’arrivo per conquistare il suo terzo mandato consecutivo, che
lo consacra come il capo di governo più longevo dell’Unione Europea
dopo Angela Merkel. Secondo i primi risultati, Fidesz, il partito di
Orbán, è ancora il più votato con il 49% dei consensi, il che gli
assicura nuovamente la maggioranza costituzionale dei due terzi
nell’Assemblea nazionale, questa volta con 134 seggi su 199, grazie a
cui negli ultimi otto anni ha avuto il pieno controllo del Paese.
Un’altissima
affluenza alle urne ha reso molto incerto l’esito del voto, giunto al
termine di una campagna elettorale combattuta allo spasimo, dove Orbán
si è proposto come difensore della nazione e campione della cultura
cristiana e occidentale, contro l’invasione islamica dall’Africa e dal
Medio Oriente. Una scommessa che ha pagato.
Hanno votato con una
percentuale da record, gli ungheresi. Si è recato alle urne il 68,8 per
cento degli aventi diritto, cioè più di 5,5 milioni di elettori, l’8% in
più di quattro anni fa. Bisogna risalire al 2002 per ritrovare una
partecipazione al voto più alta. Alle 19, quando si sono chiusi
ufficialmente i seggi, in molte sezioni di Budapest c’erano ancora
lunghe file di cittadini in attesa. A loro è stato permesso di votare,
ma sono state necessarie diverse ore per completare le operazioni. Scene
analoghe si sono ripetute un po’ in tutto il Paese.
Eppure
l’incertezza aveva dominato per gran parte della serata. «Una
partecipazione così alta significa o che la gente si è riversata in
massa per sostenere Orbán, ovvero che abbiano voluto punirlo», aveva
detto Peter Kreko, direttore dell’osservatorio indipendente Political
Capital. Dubbi serpeggiavano perfino all’interno di Fidesz, dove veniva
dato per probabile che Orbán non avrebbe ottenuto più la
super-maggioranza in Parlamento, come nel 2010 e nel 2014, quella che
gli ha permesso di imporre modifiche alla Costituzione in senso
autoritario. «Sarebbe possibile solo se nessuno schieramento perde più
di 10 distretti e c’è una differenza di almeno 20 punti tra noi e il
secondo partito. Ma questo non è realistico», aveva detto alla rete
televisiva privata Atv il deputato di Fidesz, Gergely Gulyas. Tagliata
su misura per Orbán, la legge elettorale ungherese prevede che 106 dei
199 seggi dell’Assemblea nazionale siano eletti in collegi uninominali a
maggioranza semplice. Nonostante gli accordi di desistenza raggiunti
dai partiti dell’opposizione in 29 collegi, Fidesz ha vinto ben 97
mandati diretti.
L’opposizione si è illusa fino all’ultimo di
poter fare la sorpresa. Prove estetiche di alleanza, le hanno messe in
scena Gabor Vona, il leader di Jobbik, partito della destra
ultranazionalista che questa volta ha giocato la carta della
moderazione, e Bernadett Szel, candidata dei Verdi di LMP: ieri mattina
si sono dati la mano davanti all’ingresso del Parlamento augurandosi
reciprocamente buona fortuna. Vona ha portato Jobbik al secondo posto,
con il 20% dei voti, dopo una campagna durissima contro la corruzione
del sistema Orbán e un rovesciamento del suo originario euroscetticismo.
Ma il capo dell’estrema destra non ha rinunciato a una feroce retorica
contro l’immigrazione, paragonandola alla «ruggine che poco a poco
consuma le cose». Al terzo posto, con il 12% è l’alleanza rosso-verde
tra i socialisti di MSZP e l’altro gruppo ecologista di Dialogo per
l’Ungheria, guidata dal giovane borgomastro di un distretto di Budapest,
Gergely Karacsony. Anticipando, all’evidenza con troppo ottimismo, una
possibile perdita anche della maggioranza assoluta da parte di Fidesz,
Karacsony ha chiesto al presidente della Repubblica di «non conferire a
Orbán l’incarico di formare un governo», anche se Fidesz sarà ancora il
primo partito. Non sarà così.
«È in gioco l’avvenire del Paese —
aveva detto Orbán uscendo dal seggio elettorale — non stiamo solo
eleggendo i deputati, il governo e il primo ministro, ma stiamo
scegliendo il nostro avvenire». A chi gli chiedeva se una volta rieletto
continuerà a battersi contro Bruxelles, Orbán ha risposto: «L’Ue non è a
Bruxelles, ma a Berlino, a Budapest, a Praga e a Bucarest. Noi
difenderemo gli interessi dell’Ungheria, che rimane leale membro delle
organizzazioni internazionali. Noi ci batteremo per il nostro Paese».