Corriere 8.4.18
Le tensioni
Inflessibili e dialoganti, filo-grillini e attendisti Il risiko del Nazareno
di Monica Guerzoni
ROMA
Come sa bene il ministro Andrea Orlando «la vita è più complicata di
due opzioni», soprattutto quando un partito ancora frastornato per la
botta elettorale deve rispondere all’amletico quesito «arrocco, o
dialogo?». Martedì il tema sarà affrontato nell’assemblea dei gruppi
parlamentari, ma intanto l’apertura di Luigi Di Maio ridefinisce le
correnti del Pd. Gli aventiniani di Matteo Renzi, i dialoganti di Dario
Franceschini, i filo-grillini di Michele Emiliano, gli aperturisti cauti
di Andrea Orlando.
Al reggente Maurizio Martina l’arduo compito
di fare da colla alle tessere del variegato mosaico dem e condurre il
partito fino all’assemblea del 21 aprile. Evitando di uscire a pezzi da
un secondo turno di consultazioni che pericolosamente si intreccia con
le dinamiche pre congressuali.
Contro ogni tentazione di dialogo
con Di Maio, i renziani fanno muro. L’ex premier smentisce di avere in
mente un cambio di strategia e quando Dario Franceschini invita i dem a
fermarsi, ricominciare a riflettere, dal «giglio magico» e dintorni
arriva lo stop. Ettore Rosato, che alcuni renziani vorrebbero
segretario-traghettatore, rivendica l’alternatività del Pd rispetto a
Lega e Movimento 5 Stelle e assicura che la rotta dei vertici non
cambierà. La differenza con Salvini e Di Maio, spiega Matteo Orfini, è
una questione di programmi e cultura politica «e non sarà certo un
appello strumentale a cambiare tutto questo». Così la pensano Andrea
Marcucci, Luca Lotti, Maria Elena Boschi, Alessia Morani, Anna Ascani,
David Ermini. E perché non resti un margine di dubbio, Michele Anzaldi
fa notare come tra le centinaia di militanti che hanno risposto al tweet
di Franceschini ci sia «la quasi unanimità» di chi non vuole sentir
parlare di un accordo con i pentastellati.
Debora Serracchiani ha
preso le distanze dal renzismo. Matteo Richetti prova a ballare da solo:
«Possiamo giocare sul tema della disponibilità al governo, ma per fare
cosa? Gli accordi si fanno sulle proposte». Dalla parte del «senatore di
Firenze e Scandicci», come Renzi ama definirsi, si confermano Graziano
Delrio e Lorenzo Guerini, i quali però parlano con la fronda dialogante
di Franceschini, Paolo Gentiloni, Luigi Zanda, Franco Mirabelli, Alberto
Losacco.
Per tenere insieme tutti, Martina sta rischiando la
riconferma a segretario. Nel tentativo di mediare il reggente cerca
formule il più possibile inclusive, a costo di apparire contraddittorio.
«Il Pd sull’Aventino? Assolutamente no», giurava ieri il ministro, che
pur avendo apprezzato gli accenti autocritici del capo politico
pentastellato ribadisce il no a Di Maio: «La linea non cambia, è quella
espressa al Quirinale».
All’evento «Sinistra anno zero»
organizzato da Enrico Rossi di Leu si sono affacciati diversi dem del
fronte dialogante, come Gianni Cuperlo, Cesare Damiano, Ugo Sposetti,
Francesco Boccia. C’era anche il ministro Orlando, che si sente
rappresentato da Martina e che ritiene «giusto» parlare con il Movimento
5 Stelle «ma senza nascondere le distanze». La linea cautamente
aperturista è condivisa da Gianni Cuperlo, evidentemente contrariato dal
gioco dei due forni di Di Maio: «Considerare alternative l’alleanza con
i dem e quella con la Lega è una mossa di difficile lettura».
Non
bastano due opzioni dunque, per spiegare come il Pd sia spaccato tra il
partito dell’Aventino e il partito dell’arrocco. Michele Emiliano è
stato il primo a stendere tappeti rossi ai vincitori e non ha cambiato
idea, tanto che Francesco Boccia, vicino al presidente della Puglia, è
pronto a consentire a Di Maio «di accendere i motori della legislatura».