sabato 7 aprile 2018

Corriere 7.4.18
Il voto in Ungheria
Orbán e la corsa con un solo rivale
di Paolo Valentino


Gergely Karácsony, 40enne ecologista alla guida di una coalizione rosso-verde, unica alleanza nel panorama devastato della sinistra magiara, è il solo avversario credibile del premier Viktor Orbán nelle elezioni ungheresi di domani.
Quando uno speaker troppo entusiasta lo introduce a un migliaio di persone come il «prossimo primo ministro ungherese», Gergely Karácsony offre un sorriso timido. Il giovane sindaco del 14mo distretto di Budapest non si fa illusioni sull’esito del voto. Eppure è lui, quarantenne ecologista trovatosi alla guida di una coalizione rosso-verde, unica alleanza nel panorama devastato della sinistra magiara, il solo avversario credibile di Viktor Orbán nelle elezioni di domani.
I sondaggi lo danno intorno al 20 per cento dei consensi, metà del Fidesz, il partito di Orbán, e più o meno la stessa percentuale di Jobbik, la destra più estrema che prova a indossare un improbabile doppiopetto. Ma poiché più della metà dei 199 seggi dell’Orszaggyulés, l’Assemblea nazionale, viene eletta in collegi uninominali a maggioranza semplice, l’eventuale desistenza tra le forze di opposizione in favore dei candidati con più chance, potrebbe fare la sorpresa.
E’ già successo in febbraio, in un comune roccaforte di Orbán, dove l’unità tra oppositori, Jobbik compreso, ha inflitto una clamorosa sconfitta al candidato di Fidesz. Ma a livello nazionale, la partita è un’altra. E per quanto forti siano le voci di accordi segreti in corso, è molto probabile che Orbán vinca il terzo mandato consecutivo.
Non a braccia levate, comunque. Difficile infatti che ripeta l’exploit di quattro anni fa, quando Fidesz, con il 44 per cento dei voti e grazie a una legge elettorale confezionata su misura, ottenne due terzi dei deputati e la possibilità di cambiare la Costituzione, opportunità di cui Orbán ha ampiamente approfittato in senso autoritario.
«Orbán non governa, regna — mi dice Karácsony, appena sceso dal palco —. Non fa nulla per educazione, salute, sicurezza sociale, domina un sistema corrotto e per pochi, meglio se sono suoi parenti. E nel frattempo restringe gli spazi di libertà». «E voi cosa offrite?», chiedo: «Un nuovo modello democratico per l’Ungheria, il nostro programma propone soluzioni concrete: buone scuole, buoni ospedali, salari migliori, prospettive per le centinaia di migliaia di giovani che oggi emigrano, un buon rapporto con l’Europa. Da Orbán non ne abbiamo ascoltato nessuno, tranne quello della paura: la sua campagna è stata costruita su menzogne e fake news».
Che Viktor Orbán abbia puntato tutto sulle emozioni è un fatto. Agitando davanti agli ungheresi la visione di un futuro distopico, dominato dallo scontro fra le civiltà e dalla minaccia di «dieci milioni di migranti in marcia verso l’Europa da Africa e Medio Oriente», il premier magiaro ne ha solleticato le ansie profonde, facendo sanguinare ferite mai rimarginate, dalla dominazione ottomana al Trattato del Trianon, corollario della Pace di Versailles, che dopo la Prima guerra mondiale tolse all’Ungheria due terzi del suo territorio e popolazione. «L’Europa è sotto invasione. Bruxelles non ci difende e vuole trasformaci in terra d’immigrazione, eliminando la nostra identità e modo di vita, ciò che ci distingue dal resto del mondo. Ma è impossibile per culture diverse coesistere», è il refrain di Orbán, che si vuole defensor fidei e paladino dell’Occidente contro gli infedeli.
Si è scelto anche un nemico fisico, vero convitato di pietra della campagna elettorale: il finanziere e filantropo americano George Soros, di origine ungherese, che in cento comizi e migliaia di manifesti Orbán ha accusato di avere architettato un piano segreto per favorire «l’invasione islamica» dell’Europa. Quasi una nemesi, visto che fu Soros a finanziare la borsa grazie a cui il giovane Orbán studiò per un anno a Oxford.
Perfino un velato tono antisemita fa capolino nella retorica del premier, membro del Partito popolare europeo: «Combattiamo un nemico diverso da noi, non aperto ma nascosto, non onesto ma abietto. Che non crede nel lavoro ma specula col denaro. Che non ha patria ma si sente a casa in tutto il mondo», ha detto il 15 marzo, anniversario della rivolta del 1848 contro gli Asburgo. Vocabolario da intenditori.
Ne aveva bisogno? L’economia cresce più della media europea, la disoccupazione è sotto il 4 per cento, i fondi di coesione della Unione europea affluiscono generosi. Ma intanto aumenta la corruzione, diminuisce la qualità della democrazia, mentre quasi 400 mila giovani tra 20 e 30 anni hanno piani concreti per emigrare. Vincerà lo stesso, Viktor Orbán, ma sulla paura non si costruisce il futuro del Paese.