sabato 7 aprile 2018

Corriere 7.4.18
Maestri
Gillo Dorfles, la lezione infinita
A Milano l’omaggio per i 108 anni, che avrebbe compiuto questo mese
Martedì 10 aprile una serata nel Salone d’onore della Triennale: sulla torta un disegno scelto da lui prima di morire
di Aldo Colonetti


Gillo Dorfles avrebbe compiuto 108 anni il 12 aprile e per festeggiare il suo compleanno aveva già scelto un proprio dipinto da trasformare in una grande torta. La torta ci sarà e ci sarà anche l’ultimo suo libro, La mia America (Skira), alla Triennale di Milano il giorno 10, alla presenza di tutti i suoi più cari amici, perché il Palazzo dell’Arte, progettato da Giovanni Muzio, era anche un po’ la sua casa, tanto è vero che a giugno dell’anno scorso il suo penultimo saggio, Paesaggi e personaggi (Bompiani), fu al centro di una serata memorabile durante la quale improvvisò al piano a coda un piccolo concerto che stupì tutti i presenti, a cominciare dal sindaco Beppe Sala.
Ecco, direi che da questi brevi elementi di cronaca culturale emerge tutta la sua personalità, eclettica, contemporanea, aperta a tutte le discipline, attenta alla sperimentazione, curiosissima di tutto ciò che la vita gli ha offerto, ogni giorno sempre in attesa del nuovo, dell’inedito. Gillo con la sua scomparsa non ci lascia soli; basti pensare che la sua abitazione milanese, che è sempre stata anche il suo studio dove ha dialogato con tutti i protagonisti del Novecento e di questa prima parte del secolo, fino all’ultimo giorno, è piena di sorprese, di documenti, perché non ha mai voluto mettere ordine: «Sono i miei strumenti di lavoro, ho tante cose ancora da fare, archiviare è un po’ come storicizzare, trasformare un luogo vivo in un museo. No, è ancora presto, ci penseranno gli altri dopo di me».
È bello pensarsi, come noi lo abbiamo sempre pensato, «militante» nel suo significato più alto, ovvero c’è sempre qualcosa di originale in ciascuno di noi, bisogna saperlo cogliere. Per questo abbiamo ancora tantissimo lavoro da fare, non per rendere il suo pensiero e la sua vita un museo, ma per utilizzare al meglio il suo laboratorio che ci sorprenderà sempre di più, quando andremo a conoscerlo più direttamente.
Per questa ragione Gillo c’è, e lo dimostra l’ultimo volume, La mia America, curato con estrema attenzione e intelligenza filologica da Luigi Sansone, un libro che Dorfles non ha visto stampato ma che ha seguito fino in fondo, compresa la scelta della copertina, a stelle e strisce.
Il suo laboratorio è sempre stato il mondo reale, non tanto le «accademie», e lo dimostra il lungo saggio introduttivo di Sansone: Dorfles arriva negli Stati Uniti, la prima volta, il 16 settembre 1953, e viaggia da est a ovest, da nord a sud fino al 14 dicembre; la seconda volta, con una permanenza più breve, nel 1955, seguita da una serie successiva di inviti per conferenze, mostre e incontri. Gli amici che gli danno alcune dritte sono, in primo luogo, Leo Lionni e Leo Castelli, il più grande gallerista del secolo scorso, amico d’infanzia di Trieste, con cui, «dopo aver passato la giornata al Bagno Savoia, insieme a Bobi Bazlen, si andava a giocare a bocce con Italo Svevo».
Ecco, questo è Gillo; accanto alla scoperta e alla conoscenza diretta di artisti — come poi saranno i protagonisti dell’arte contemporanea americana, che sbarcheranno ufficialmente alla Biennale di Venezia solo nel 1964, in particolare il suo caro amico Robert Rauschenberg — alcune note di costume e di attenzione ai dettagli della vita quotidiana, scoprendo, come un vero «fenomenologo», anche un po’ archeologo della contemporaneità, che sono i particolari a farci riconoscere lo spirito del tempo. Un Dorfles un po’ hegeliano ma anche husserliano, come il suo grande amico Enzo Paci; visitando la casa di vetro di Philip Johnson: «Una casa dove vive da solo, con tutte le pareti di cristallo in mezzo a un magnifico bosco. Solo nel centro della grande stanza c’è un cilindro di mattoni in cui è ricavato il bagno», e subito la sua nota, «questo per fortuna chiuso!». Oppure quando, su invito di Lloyd Wright, visita il complesso di Taliesin West, in Arizona, e si sorprende, positivamente, del fatto che «alcuni locali sono davvero impressionanti tanto sono bene amalgamati con il deserto e le montagne circostanti», ma nello stesso tempo, in una lettera alla moglie Lalla, così si esprime a proposito del gusto personale del grande architetto: «Taliesin è un insieme di geniali trovate spaziali e di pessimo, indicibilmente abietto, cattivo gusto per quanto riguarda tutto quello che è furniture , decorazione e trucchi di materiali allo scoperto. Fa ribrezzo!».
Protagonista è il Dorfles che guarda altrove e già, forse, s’immagina una ricerca e un libro sul Kitsch, perché il mondo reale è un immenso laboratorio, dove la dimensione estetica ci fa capire anche l’antropologia della persona. Medico, psichiatra, più Jung che Freud, camminatore infaticabile con la mente e con il corpo, sciatore fino all’ultimo, chissà quante altre sorprese Gillo Dorfles ci offrirà in un futuro prossimo; noi saremo sempre qui in attesa di conoscere se finirà, o come si concluderà, la sua ricerca.