martedì 3 aprile 2018

Corriere 3.4.18
Pd, nuova frattura sul governo «di tregua» Crescono i disponibili ma Renzi si oppone
di Maria Teresa Meli


ROMA È un Pd quanto mai diviso quello che si prepara all’incontro di giovedì prossimo con il capo dello Stato. La delegazione del Partito democratico dopodomani salirà al Colle per le consultazioni con un’unica posizione ufficiale, benché declinata con diverse sfumature, ma sarà al prossimo, inevitabile, giro di incontri al Quirinale che i dem si spaccheranno.
E la rottura non sarà su «governo con i grillini sì, governo con i grillini no», perché tutti al Nazareno sanno che un esecutivo di quel tipo non avrebbe futuro, anche con l’apporto di Liberi e uguali, perché a Palazzo Madama i numeri sarebbero troppo risicati. Su questo convergono la maggior parte dei leader del Pd.
La divisione in realtà riguarda un altro futuribile scenario. Lo si capisce chiaramente da un discorso che l’altro giorno Dario Franceschini ha fatto ai suoi: «Ragazzi non scherziamo, a me non passa per l’anticamera del cervello di proporre l’appoggio esterno a un governo con il Movimento cinquestelle o, peggio, di pensare di entrare in un esecutivo con i grillini. Sarebbe come fargli un favore...». Già, perché il ministro dei Beni culturali, come, del resto, anche Walter Veltroni, che pare stia promuovendo un appello di intellettuali mirando proprio allo stesso obiettivo, puntano piuttosto a un governo «con tutti dentro» sotto la regia del Colle. Ma, ed è questo il vero discrimine, Renzi non sarebbe disponibile nemmeno a un’ipotesi di questo tipo. «Noi — si è lasciato sfuggire l’ex segretario con qualche fedelissimo — dovremmo stare all’opposizione anche in quel caso».
E non per partito preso. Secondo Matteo Renzi infatti il Pd dovrebbe avere il tempo e il modo di elaborare il lutto e di ritrovare lo slancio perduto. E un governo di «scopo», o di «tregua» che dir si voglia, lo impedirebbe. Anzi, costringerebbe i dem «all’immobilismo» per un malinteso senso di responsabilità.
«Dobbiamo costruire una forza liberale e riformista che, partendo dal Partito democratico, allarghi il campo, andando oltre il Pd. Questa è la nostra sfida, non quella di un esecutivo purchessia»: è la spiegazione che viene data dall’entourage di Renzi per motivare l’ostilità nei confronti di qualsiasi ipotesi di governo.
Il Pd perciò sembra destinato irrimediabilmente a spaccarsi. E la lotta intestina per decidere chi sarà il futuro segretario è un’altra faccia della medaglia di questo travaglio interno.
Perciò la divisione passa anche per la scelta della data in cui svolgere l’Assemblea nazionale. I renziani la vorrebbero a giugno, dopo la tornata elettorale delle Regionali e delle Comunali, per avere il tempo di trovare il candidato alla segreteria. Sarà Debora Serracchiani o Matteo Richetti? Nell’area che fa riferimento all’ex presidente del Consiglio ci sono i sostenitori dell’una e dell’altra ipotesi e non è ancora stata presa una decisione definitiva a riguardo. Soprattutto, non l’ha ancora presa il leader. Motivo in più per rinviare l’Assemblea inizialmente prevista ad aprile. Ma tutti i leader del «correntone» filo-governo (da Franceschini a Orlando, passando per Gentiloni e Veltroni) spingono invece per accelerare i tempi e confermare Martina alla segreteria, nella convinzione che il reggente, impegnato in un’estenuante mediazione interna, riuscirà a far prevalere la linea del dialogo e del sì all’esecutivo di «scopo» contro quello che definiscono «l’autismo» renziano.