Corriere 12.4.18
il vangelo è una speranza anche per l’economia
Il
testo è la prefazione al libro «Potere e Denaro, La giustizia sociale
secondo Bergoglio» a cura di Michele Zanzucchi, Edizioni Città Nuova
di Francesco
L’
economia è una componente vitale per ogni società, determina in buona
parte la qualità del vivere e persino del morire, contribuisce a rendere
degna o indegna l’esistenza umana. Perciò occupa un posto importante
nella riflessione della Chiesa, che guarda all’uomo e alla donna come a
persone chiamate a collaborare col piano di Dio anche attraverso il
lavoro, la produzione, la distribuzione e il consumo di beni e servizi.
Per questo, sin dalle prime settimane del pontificato, ho avuto modo di
trattare questioni riguardanti la povertà e la ricchezza, la giustizia e
l’ingiustizia, la finanza sana e quella perversa.
Se oggi
guardiamo all’economia e ai mercati globali, un dato che emerge è la
loro ambivalenza. Da una parte, mai come in questi anni l’economia ha
consentito a miliardi di persone di affacciarsi al benessere, ai
diritti, a una migliore salute e a molto altro. Al contempo, l’economia e
i mercati hanno avuto un ruolo nello sfruttamento eccessivo delle
risorse comuni, nell’aumento delle disuguaglianze e nel deterioramento
del pianeta. Quindi una sua valutazione etica e spirituale deve sapersi
muovere in questa ambivalenza, che emerge in contesti sempre più
complessi.
Il nostro mondo è capace del meglio e del peggio. Lo è
sempre stato, ma oggi i mezzi tecnici e finanziari hanno amplificato le
potenzialità di bene e di male. Mentre in certe parti del pianeta si
annega nell’opulenza, in altre non si ha il minimo per sopravvivere. Nei
miei viaggi ho potuto vedere questi contrasti più di quanto mi sia
stato possibile in Argentina. Ho visto il paradosso di un’economia
globalizzata che potrebbe sfamare, curare e alloggiare tutti gli
abitanti che popolano la nostra casa comune, ma che — come indicano
alcune statistiche preoccupanti — concentra nelle mani di pochissime
persone la stessa ricchezza che è appannaggio di circa metà della
popolazione mondiale. Ho constatato che il capitalismo sfrenato degli
ultimi decenni ha ulteriormente dilatato il fossato che separa i più
ricchi dai più poveri, generando nuove precarietà e schiavitù.
L’attuale
concentrazione delle ricchezze è frutto, in buona parte, dei meccanismi
del sistema finanziario. Guardando alla finanza, vediamo inoltre che un
sistema economico basato sulla prossimità, nell’epoca della
globalizzazione, incontra non poche difficoltà: le istituzioni
finanziarie e le imprese multinazionali raggiungono dimensioni tali da
condizionare le economie locali, mettendo gli Stati sempre più in
difficoltà nel ben operare per lo sviluppo delle popolazioni.
D’altronde, la mancanza di regolamentazione e di controlli adeguati
favorisce la crescita di capitale speculativo, che non si interessa
degli investimenti produttivi a lungo termine, ma cerca il lucro
immediato.
Prima da semplice cristiano, poi da religioso e
sacerdote, quindi da Papa, ritengo che le questioni sociali ed
economiche non possano essere estranee al messaggio del Vangelo. Perciò,
sulla scia dei miei predecessori, cerco di mettermi in ascolto degli
attori presenti sulla scena mondiale, dai lavoratori agli imprenditori,
ai politici, dando voce, in particolare, ai poveri, agli scartati, a chi
soffre. La Chiesa, nel diffondere il messaggio di carità e giustizia
del Vangelo, non può rimanere silente di fronte all’ingiustizia e alla
sofferenza. Ella può e vuole unirsi ai milioni di uomini e donne che
dicono no all’ingiustizia in modo pacifico, adoperandosi per una
maggiore equità. Ovunque c’è gente che dice sì alla vita, alla
giustizia, alla legalità, alla solidarietà. Tanti incontri mi confermano
che il Vangelo non è un’utopia ma una speranza reale, anche per
l’economia: Dio non abbandona le sue creature in balia del male. Al
contrario, le invita a non stancarsi nel collaborare con tutti per il
bene comune.
Quanto dico e scrivo sul potere dell’economia e della
finanza vuol essere un appello affinché i poveri siano trattati meglio e
le ingiustizie diminuiscano. In particolare, costantemente chiedo che
si smetta di lucrare sulle armi col rischio di scatenare guerre che,
oltre ai morti e ai poveri, aumentano solo i fondi di pochi, fondi
spesso impersonali e maggiori dei bilanci degli Stati che li ospitano,
fondi che prosperano nel sangue innocente. (…) Ci sono dei no da dire
alla mentalità dello scarto: occorre evitare di uniformarsi al pensiero
unico, attuando coraggiosamente delle scelte buone e controcorrente.
Tutti, come insegna la Scrittura, possono ravvedersi, convertirsi,
diventare testimoni e profeti di un mondo più giusto e solidale. (…)
Il
mondo creato agli occhi di Dio è cosa buona, l’essere umano cosa molto
buona (cf. Gen 1, 4-31). Il peccato ha macchiato e continua a macchiare
la bontà originaria, ma non può cancellare l’impronta dell’immagine di
Dio presente in ogni uomo. Perciò non dobbiamo perdere la speranza:
stiamo vivendo un’epoca difficile, ma piena di opportunità nuove e
inedite. Non possiamo smettere di credere che, con l’aiuto di Dio e
insieme — lo ripeto, insieme — si può migliorare questo nostro mondo e
rianimare la speranza, la virtù forse più preziosa oggi. Se siamo
insieme, uniti nel suo nome, il Signore è in mezzo a noi secondo la sua
promessa (cf. Mt 18, 20); quindi è con noi anche in mezzo al mondo,
nelle fabbriche, nelle aziende e nelle banche come nelle case, nelle
favelas e nei campi profughi. Possiamo, dobbiamo sperare.