Corriere 10.4.18
Elzeviro Il sacrificio secondo Recalcati
Il coraggio di affrontare il desiderio
di Emanuele Trevi
È
 un ritratto potente, e per certi aspetti sconsolato, del nevrotico 
quello che emerge dalle pagine di Contro il sacrificio. Al di là del 
fantasma sacrificale (Raffaello Cortina, 2017), il recente saggio di 
Massimo Recalcati che sviluppa e approfondisce temi già toccati in libri
 precedenti, e in particolare in L’uomo senza inconscio Figure della 
nuova clinica psicoanalitica (stesso editore, 2010). Nei brevi e limpidi
 capitoli di questo libro il sapere teorico si unisce all’esperienza di 
terapeuta e anche alla memoria personale, come se l’autore, individuato 
uno dei peggiori e più insidiosi nemici della vita umana, intendesse 
stanarlo e aggredirlo moltiplicando i punti di vista e le possibili 
strategie. Ed ecco emergere, pagina dopo pagina, la cupa figura dello 
«schiavo del peccato», del rinunciante sempre invischiato nell’economia 
perversa del «fantasma sacrificale». Tutto ciò di cui non gode, pensa 
quest’uomo, costituisce un capitale, o meglio un investimento che gli 
sarà restituito a tempo debito. Non c’è impoverimento della propria vita
 (e di quella di chi gli è vicino!) che non gli appaia conveniente in 
nome di un finto ideale di purezza e superiorità morale che è solo un 
alibi per non assumersi mai la responsabilità del proprio desiderio.
Nello
 Zarathustra , Friedrich Nietzsche escogitò la metafora del «cammello» 
per irridere questa vita tanto priva di spirito quanto fondata sulla 
penitenza e l’ascetismo. Lo sguardo rivolto a terra, la schiena carica 
di pesi, il «cammello» è la perfetta incarnazione di un’esistenza del 
tutto spogliata di senso da un imperativo morale che sembra sempre 
giungere da fuori e dall’alto, ed esige cieca obbedienza e 
rassegnazione. Recalcati non ha dubbi: così sottomessa a una Legge che 
si afferma negando il desiderio, l’esistenza dello «schiavo della colpa»
 è un errore irredimibile, una pulsione di morte travestita da virtù. 
«La vita interiore prende il posto della vita: ruminazione incessante, 
abnegazione, autocolpevolizzazione, risentimento, sacrificio di sé».
Il
 compito dell’analisi, per Recalcati, è riconoscere che proprio 
l’identificazione della vita e del sacrificio è «la malattia più grande 
del nevrotico». La posta in gioco è altissima, perché consiste nella 
possibilità di fondare e rafforzare un’alleanza vitale fra la Legge e il
 desiderio. Se c’è una «colpa», essa va riconosciuta nell’aver tradito 
la propria singolarità e tutte le sue inclinazioni, di non essersi 
caricati sulle spalle l’unico peso che è davvero necessario assumersi, 
che è quello di ciò che si vuole.
Si leggono queste pagine di 
Recalcati come un messaggio di speranza ancora più che come un rigoroso 
discorso scientifico e filosofico, capace di far interagire, con grande 
sapienza dialettica, i Vangeli e Nietzsche, Søren Kierkegaard e Jacques 
Lacan. Uno dei meriti dei saggi di Recalcati è quello di far sempre 
proseguire per conto suo il lettore nel percorso iniziato con la 
lettura. Tutto sommato, è della nostra vita che si tratta, e del rischio
 perenne di sprecarla e dissiparla. Proprio per questo, mi sembra 
urgente formulare a questo bel libro, e al suo autore, una domanda: una 
volta liberati dal «fantasma sacrificale», come diventiamo in grado di 
riconoscere ciò che davvero vogliamo, e che ci definisce come individui?
 Non è questo un altro pezzo di strada lungo il cammino in direzione 
della nostra libertà?
Per il momento Recalcati confina questa 
ulteriore questione in una nota a piè di pagina. Ma mi sembra che valga 
la pena di scavare ancora in un terreno così fertile. Magari in un nuovo
 libro, dedicato questa volta all’arte più difficile che esiste: quella 
di conoscere sé stessi.
 
