sabato 7 aprile 2018

«...rigoroso psicoanalista lacaniano:
Il gesto di Caino nasce da un fenomeno di fascinazione: Abele è il suo ideale irraggiungibile.
noi sappiamo bene quanto sia essenziale nel cammino formativo di un figlio l’esperienza della sconfitta, della caduta, dello smarrimento».
La Stampa 7.4.18
“La cultura è il solo vaccino contro il terrorismo e la paura”
Lo psicanalista direttore del festival di psicologia di Torino: “La società deve ripartire dalla scuola”
intervista di Raffaella Silipo


«Il nostro tempo vive in una condizione di profonda angoscia», dice Massimo Recalcati. L’angoscia percepita è probabilmente superiore a quello che richiede il momento storico, nel passato - anche recente - ben più minaccioso di oggi. Ma Recalcati, rigoroso psicoanalista lacaniano e allo stesso tempo magnifico divulgatore di temi psicologici, sa bene che quello che viene percepito non conta meno di quello che accade. Per questo, come primo atto da direttore scientifico del festival della Psicologia torinese in corso in questi giorni, ha deciso di dedicare questa quarta edizione alla paura. «Un tema che interseca la psicologia individuale e quella sociale, quindi la psicologia del singolo con quella collettiva». E c’è da giurare che a Torino andrà in scena una grande seduta analitica collettiva, dove molta parte del pubblico, forse anche gli addetti ai lavori, cercherà conforto, oltre che comprensione delle dinamiche umane.
Del resto Recalcati, 59 anni, docente di Psicopatologia del comportamento alimentare a Pavia e di Psicoanalisi e scienze umane a Verona e fondatore di Jonas – Onlus che promuove la democratizzazione della psicanalisi – è uno di quegli oratori capaci di tenere chiunque incollato alla sedia. Grande appassionato di arte e di letteratura americana, si occupa di nuovi sintomi (bulimia, anoressia, dipendenze, attacchi di panico) e di rapporti tra genitori e figli, un tema che ha affrontato in molti saggi sulla paternità (dal Complesso di Telemaco alle Mani della madre fino al Segreto del figlio) hanno scalato le classifiche. La sua marcia in più è saper mettere insieme varie discipline e non a caso al festival ci saranno, oltre «ai colleghi psicoanalisti e psicoterapeuti, intellettuali, filosofi e scrittori».
Partiamo dal terrorismo, per cui lei tiene oggi a Torino la lectio magistralis «Violenza e terrore». Quali sono le radici psicoanalitiche del terrorismo?
«Il gesto di Caino nasce da un fenomeno di fascinazione: Abele è il suo ideale irraggiungibile. Il suo odio è fomentato da un eccesso di idealizzazione. Esiste però anche un’altra radice della violenza: lo straniero è odiato perché differente, difforme, per nulla ideale. L’odio può essere anche la manifestazione esterna dell’angoscia che troviamo di fronte all’ingovernabile, di cui lo straniero è l’emblema».
La paura del diverso è quella che oggi nelle elezioni in molti Paesi dell’Europa occidentale fa vincere il populismo. Come mai siamo così spaventati? Forse perché abbiamo molto da perdere? Come superare la paura?
«Il populismo porta con sé la tentazione o, se si preferisce, l’illusione del muro. In questo senso è tendenzialmente sempre nazionalista, sovranista, persino, in certi casi, etnicamente omogeneo. Lo stato di emergenza provocato innanzitutto dalla crisi economica e dalle diseguaglianze sociali, unite al fenomeno dell’immigrazione e del terrorismo alimenta fatalmente il rafforzamento di una concezione chiusa dell’identità. Il contrario di quello che sostiene la psicoanalisi che ci invita a riconoscere che senza esperienza dello straniero (interno ed esterno) l’identità può diventare una malattia».
La rabbia e l’invidia oggi sembrano due sentimenti molto diffusi, eccitati e amplificati dall’uso dei social media e dal continuo confronto con gli altri, che mettono in evidenza le diseguaglianze. Come si risponde alla rabbia sociale che rischia di avvelenare intere generazioni?
«Mi pare che il punto centrale sia quello del rancore. Il rancore alimenta la rabbia e la violenza. E’ come una brace. Un tempo la brace era costituita dall’ideologia, dall’appartenenza e scatenava il conflitto politico. Oggi è costituita da un sentimento di non appartenenza e di esclusione e scatena l’odio e la violenza xenofoba e razzista».
A proposito di generazioni, sembra di vedere che è saltato il passaggio di testimone tra genitori e figli, come anche tra colleghi anziani e più giovani. Perché è così difficile oggi trasmettere sapere? Forse gli adulti sono più insicuri? O non vogliono mollare i privilegi?
«Nel nostro tempo il sapere, inteso come sforzo di ricerca, è stato sostituito dall’informazione immediatamente accessibile. La trasmissione del sapere implica un lavoro complesso che è a carico innanzitutto della scuola. Il problema è che oggi i genitori sono diventati i difensori dei figli, spesso contro gli insegnanti. È come se il patto educativo che saldava le generazioni e stabiliva l’alleanza simbolica tra genitori e insegnanti si fosse rotto».
Un’altra paura molto tipica del nostro tempo e che pesa soprattutto sugli adolescenti è quella del fallimento. Come mai gli insegniamo a dare così tanta importanza alla performance e al successo invece che alla ricerca della felicità? Quanta parte ha il narcisismo nella nostra società?
«I genitori hanno sempre più aspettative narcisistiche sui loro figli, che vorrebbero destinati al successo. Di conseguenza i figli hanno sempre più difficoltà ad accettare il fallimento e la frustrazione. Innanzitutto perché sono i loro genitori a non tollerarla. Eppure noi sappiamo bene quanto sia essenziale nel cammino formativo di un figlio l’esperienza della sconfitta, della caduta, dello smarrimento».
Qual è la cosa che le sembra più urgente per creare condizioni di vita migliori? Da dove si può ripartire?
«Dalla scuola. Bisogna sempre ripartire dalla scuola. La scuola oggi non è il luogo dove si esercita la repressione, ma, al contrario, è il luogo dove sopravvive il pensiero critico e la possibilità di dare una forma alla vita dei nostri figli. Lo diceva a suo modo Pier Paolo Pasolini: il solo vaccino in grado di prevenire la caduta della vita del figlio nella distruzione è il vaccino della cultura. È la cultura che anima il desiderio di vita. Senza cultura c’è solamente desiderio di morte».