Romano Màdera è un filosofo, psicoanalista di formazione junghiana
Repubblica 30.3.18
Il nuovo saggio di Romano Màdera
Woody Allen sbaglia Marx è ancora vivo
di Moreno Montanari
Dio è morto, Marx è morto e neanche io mi sento tanto bene». Sconfitta e utopia.
Identità
 e feticismo attraverso Marx e Nietzsche (Mimesis) può, per certi versi,
 considerarsi il personale tentativo di Romano Màdera di fare i conti 
con questa celebre battuta di Woody Allen, almeno per quanto riguarda 
Marx e l’individualità malata. Siamo sicuri, infatti, che Marx sia 
morto?
Non può darsi che ci siamo affrettati a seppellirlo vivo e 
che il suo spettro si aggiri ancora, irrequieto, per il mondo? Certo si 
tratta d’intendersi su quanto del pensiero di Marx è ancora vivo e di 
prendere congedo da ciò che, non solo lo è più ma non lo è mai stato, 
perché privo di ogni radicamento nel reale e, a ben vedere – spiega 
l’autore – nella stessa filosofia di Marx nella quale Màdera riconosce 
“una perfetta diagnosi, una mediocre prognosi e una terapia 
inconsistente”.
Del tutto infondata, in particolare, la pretesa 
scientificità della dialettica storica che avrebbe reso inevitabile la 
rivoluzione della classe proletaria, che appare, piuttosto, 
completamente slegata, e quasi giustapposta, dal formidabile impianto 
della sua radicale e lucidissima critica alla società capitalistica.
Secondo
 l’autore, il vero cuore del pensiero di Marx, che non a caso non si 
considerava marxista, non va ricercato nelle istanze rivoluzionarie, ma 
nel tema del feticismo, vero e proprio “codice genetico della civiltà 
dell’accumulazione” e origine di quell’alienante fenomeno di 
reificazione che, rovesciando i rapporti tra gli uomini e il loro 
prodotto, fa scadere le persone a funzioni, merci, cose tra le cose, 
proprio mentre infonde personalità alle cose, elevando i prodotti a 
feticci dotati di un magico valore spirituale, che gli antropologi 
chiamano mana.
Marx spiegava che per sottrarsi agli effetti di 
questa ideologia sarebbe servita “una coscienza enorme”, che non cadesse
 nell’errore di scambiare la parte per il tutto (questo è, appunto, un 
feticcio) e, reinserendola nel processo che la produce, la 
denaturalizzasse, pervenendo ad una diversa percezione del mondo. Tale 
coscienza, che è consapevolezza dell’interdipendenza di tutti da tutto, 
può essere realizzata, spiega l’autore, per vie diverse da quelle 
immaginate da Marx, grazie al contributo di Nietzsche e della 
psicoanalisi, fautori di una concezione dell’identità non più 
tautologica ma irriducibilmente differente perché attraversata 
dall’Altro che l’abita.
Tesaurizzandone in chiave individuativa 
l’invito a vivere una “metamorfosi dello spirito”, Màdera ribalta il 
celebre motto nietzschiano “divieni ciò che sei” in “sii ciò che puoi 
divenire” e indica nella psicoanalisi un processo che permette di 
disalienare l’individuo, liberandolo dal feticcio di un’identità 
monolitica per mostrarla come espressione di una dialettica intra e 
interpsichica. Ma non si tratta di un ritiro dal mondo ed un 
ripiegamento su di sé perché la coscienza enorme sarà propria solo di 
chi “riconoscerà nella sua corporea individualità, l’universalità che 
è”.
Così ripensata, tale particolare proposta di analisi 
filosofica, costituisce, anzi, un modo “per fare politica con altri 
mezzi”, mirando non già alla rivoluzione ma alla realizzazione di uno 
stile di vita che si preoccupi “di esserne degno”, avendo riconosciuto 
che gli ideali che lo muovono non vanno concepiti come mete da 
raggiungere ma come principi guida da incarnare.
 
