domenica 25 marzo 2018

Repubblica Robinson 25.3.18
Stare sul lettino a Teheran
I 10 anni del Gruppo freudiano in Iran: dove la psicoanalisi è ancora dottrina “sovversiva”
di Gohar Homayounpour

Abbiamo appena celebrato il decimo anniversario del Gruppo freudiano di Teheran a Mashhad, una delle città più religiose dell’Iran, un sito di pellegrinaggio per i musulmani sciiti, dove il desiderio di psicoanalisi è sorprendentemente sempre più forte. L’Iran ha una popolazione di 75 milioni di persone, 13 solo a Teheran, e oltre il 60 per cento della popolazione ha meno di trent’anni. In Iran ci sono pochissimi psicoanalisti e ancor meno psicoanaliste. Di conseguenza, la domanda supera costantemente l’offerta, e quindi chiunque abbia un “divano” ha sempre una clientela numerosa. Il contrario di quello che sentiamo dire da colleghi di altri Paesi, dove la psicoanalisi è in crisi. Sembra esserci un’angolazione misteriosa nello sguardo dell’Occidente su di noi: più l’Iran diventa politicamente scandaloso, e più l’altro occidentale lo segue con attenzione, più diventa un oggetto desiderabile. Negli ultimi anni c’è un crescente desiderio per tutto ciò che viene dall’Iran e riguarda l’Iran ( quasi una reazione feticistico-fobica). Per esempio, c’è una forte domanda di produzioni artistiche, dai film alla fotografia, alla letteratura. Un esempio eclatante si può trovare in quello che è successo con l’arte iraniana negli ultimi vent’anni: si ha la sensazione che nulla di sovversivo venga prodotto. In particolare nel campo delle arti visive, un vasto assortimento di piaceri persiani è stato generato e venduto in Occidente a prezzi altissimi, senza uno sguardo critico. Un fenomeno ben diverso è quello del cinema, dove l’Iran, sulle orme di Sohrab Shahid- Saless e Abbas Kiarostami, e il genere che hanno creato, ha toccato i massimi livelli di produzione artistica, producendo film brillanti, acclamati a livello internazionale. Non voglio certamente idealizzare tutto il nostro cinema e banalizzare l’arte iraniana in generale. È solamente un’osservazione per ragionare meglio sui pericoli di produrre piaceri erotici persiani. Non potrebbe essere un patto inconscio, nel quadro di una dialettica hegeliana padrone/ schiavo, per sfuggire all’oscurità, alla differenza e all’ignoto? Una patto che mantenendo il cliché dell’esotismo avrebbe evidenti vantaggi nevrotici per l’Occidente e per l’Iran, ma trascurerebbe l’inconscio e le sue storie mostruose. Il Gruppo freudiano di Teheran non ha alcun accreditamento ufficiale presso lo Stato iraniano e non può offrire a studenti e candidati qualsivoglia tipo di certificato o diploma, perché non siamo associati con nessuna università del Paese. Non siamo nemmeno riconosciuti da nessuna associazione internazionale. Com’è possibile, allora, che abbiamo circa duecento membri a Teheran e a Mashhad, e che ci sia un continuo e insistente desiderio di nuove adesioni da tutto il Paese? Per dirla brevemente, il successo del gruppo ha a che fare con un senso interno di legittimità del gruppo, e in ultima analisi con il “desiderio” di psicoanalisi in Iran. Il gruppo è stato fondato nel 2007, perché funzionasse come un istituto di psicoanalisi, dove cerchiamo di praticare le regole fissate dall’Associazione psicologica internazionale per la formazione dei candidati ( analisi, supervisione e lezioni teoriche). Negli ultimi dieci anni abbiamo avuto la fortuna di godere dell’ospitalità di molti dei nostri colleghi internazionali. Di certo, la maggior parte dei nostri studenti riceve terapia psicoanalitica e formazione. La psicoanalisi è intrinsecamente sovversiva, e la cosa che trovo più intrigante del fatto di fare psicoanalisi a Teheran è la possibilità di praticarla proprio nel suo originario formato sovversivo. Vivere e lavorare in Iran come psicoanalista costringe inevitabilmente a vedere le cose attraverso il terzo occhio. Al margine del linguaggio. Al margine del soggetto. Il linguaggio dell’inconscio è quello del margine, è sovversivo e tale deve restare. Forse la crisi della psicoanalisi in Occidente ha a che fare proprio con questo fenomeno: più cerchiamo di far rientrare la psicoanalisi nel motto capitalista “il cliente ha sempre ragione”, più cerchiamo di ripulirla da tutto quello che può far sentire a disagio qualcuno, come la fantasia inconscia, la sessualità e… insomma, in un certo senso, più politicamente corretti diventiamo per attrarre “clienti”, meno desiderabili diventiamo per gli analizzandi. Siamo diventati convenzionali per diventare più attraenti, ma nel farlo abbiamo perso ogni desiderabilità. Dobbiamo ricordarci di quello che diceva Freud, e cioè che se un giorno parleremo della psicoanalisi senza suscitare reazioni ostili, sarà un chiaro segnale che non siamo riusciti a spiegare bene cosa sia realmente la psicoanalisi. Sarà un chiaro segnale che siamo diventati convenzionali, che ci siamo allontanati dal margine, dalla fantasia dell’inconscio, per entrare nel territorio dell’uniformità, della familiarità e del politicamente corretto. Dobbiamo proporre una politica della differenza e un rigetto dell’uniformità, nel territorio dei mostri, dentro le mille e una storie nel carnevale delle nostre menti. Senza sfuggire all’universalità della condizione umana, dove il dolore è dolore.