Repubblica Robinson 25.3.18
Ogni continente ha la sua anima
La nuova geografia della psiche spiega anche le differenze tra Est e Ovest. Terrorismo compreso
di Lorena Preta
Fine
luglio 1909: Freud e Jung, emozionati e curiosi, solcano l’oceano che
li porterà dalla vecchia Europa agli Stati Uniti per un ciclo di
conferenze dedicate alla nuova e discussa disciplina chiamata
psicoanalisi. In America non se ne sa molto ma “la cura con le parole”,
come ebbe a definirla una delle prime pazienti di Freud, ha già
suscitato insieme grande interesse e molta diffidenza. C’è attesa ma
forse poca consapevolezza della portata storica e rivoluzionaria della
psicoanalisi. In realtà l’immagine dell’uomo conosciuta fin lì è stata
radicalmente stravolta: le azioni e i sentimenti non sono determinati
dalla coscienza, ma hanno origine dalla forza potente e indecifrabile
dell’inconscio. Muri invalicabili crollano sotto la spinta della nuova
teoria: il sogno è portatore di significati nascosti; la sessualità ha
un ruolo fondamentale nell’organizzazione della vita mentale ed essa non
è appannaggio solo del mondo adulto ma anche dell’infanzia; il rapporto
del medico con il paziente non è affatto asettico ma è guidato da
affetti potenti che portano quest’ultimo a sperimentare verso l’analista
un amore di “ transfert”. Il mondo relazionale quindi ma anche la
scienza, l’arte e la religione stessa non sono definiti esclusivamente
dai loro fondamenti storici e culturali ma dalla complessa dinamica
inconscia. Ce n’è abbastanza per pensare che la nuova disciplina possa
portare uno sconvolgimento totale nella visione dell’uomo e del mondo.
Infatti durante il viaggio Freud orgoglioso ma anche un po’ preoccupato,
dice a Jung: “Non sanno che gli andiamo a portare la peste! ”. E oggi?
La psicoanalisi ha ancora questa carica contagiosa e dirompente?
Sono
pochi i Paesi del mondo in cui la psicoanalisi non sia arrivata
introducendo nuovi vertici di osservazione dei rapporti individuali e
sociali. Eppure la sua funzione è ben diversa da cultura a cultura, da
società a società nonostante la globalizzazione renda omogenee alcune
problematiche. Nell’Occidente super tecnologico per esempio, l’individuo
si trova a vivere una situazione di frammentazione e di angoscia di
perdita di sé, uno scollegamento dal proprio gruppo di riferimento sia
famigliare che sociale. L’esigenza sembra essere il bisogno di
riconnettersi e recuperare un senso di appartenenza. In questo caso
all’esperienza psicoanalitica sono richiesti un contenimento e
un’integrazione. Al contrario in Oriente si sta introducendo
un’affermazione sempre più forte dell’individualità e la necessità di
uno sganciamento dal controllo del gruppo famigliare e dalla
collettività, che spesso sappiamo corrispondere a gravi politiche di
oppressione. In questo caso la psicoanalisi può avere una funzione
liberatoria. Eppure anche se segnata da profonde differenze, la mappa
geografica planetaria mette in risalto un disagio psichico comune che
attraversa tutti i Paesi del mondo. Le innovazioni tecnologiche hanno
negli ultimi anni mutato profondamente la percezione che abbiamo del
nostro corpo e della relazione con l’altro. Inusuali composizioni
uomo-macchina, innesti di organi di specie diverse prima immaginati
soltanto nelle mitologie, fecondazioni artificiali che possono ormai
essere completamente sganciate dalla sessualità, differenze
generazionali e di genere che sembrano annullate, comunicazioni virtuali
che attraversano spazi senza corpi e senza materia, tutto questo fa di
noi degli esseri diversi da prima e ingaggiati in un inedito processo di
mutazione antropologica. La dimensione del tempo sembra schiacciata
totalmente sul presente. Difficile elaborare il passato per superarlo e
quasi impossibile proiettarsi nel futuro che i troppo rapidi cambiamenti
rendono inimmaginabile. Sembra di non avere più un luogo, ma di essere
costantemente “dislocati”, out of joint, fuori dai cardini.
In
quest’ottica si possono leggere i fenomeni migratori caratterizzati da
percorsi geografici e politici segnati da conflittualità e differenze a
volte inconciliabili e da traumi non elaborabili. La soluzione a volte
sembra essere il ricorso a un’appartenenza mimetica che può sfociare nei
giovani, in un tentativo di “rifondazione” identitaria con accenti
deliranti come nel fenomeno del terrorismo. A sua volta chi viene in
contatto con il migrante affronta paure di dispersione e alterazione
della propria identità che spesso vediamo sfociare in gesti di violenza
inammissibili. Eppure è proprio tenendo conto del fatto che la psiche
stessa è strutturata sulla dinamica di parti tra loro inconciliabili ed
eterogenee che bisognerebbe attrezzarsi a ospitare le estraneità, senza
pretendere di ridurre l’altro a sé ma lasciandogli quella dose di
irriducibilità che lo fa diverso da noi. Come non avere coscienza però
che mancano le attrezzature sufficienti per capire le nuove geografie
della mente che ci aspettano? Se la psicoanalisi può ancora portare la
peste della sua parola non conformistica, è conservando la funzione di “
problematizzare” la realtà, di non darla per ovvia o scontata. Non si
tratta di usare un paradigma da investigatori che devono smascherare il
colpevole, ma di rimettere in contatto la persona con i suoi moti
profondi e di considerare le complesse dinamiche dei gruppi che sono
oggetto ancora inesplorato, in modo da generare “ un raggio di intensa
oscurità”.