giovedì 8 marzo 2018

Repubblica 8.3.18
Rose McGowan “ Denunciando Weinstein ho scatenato i demoni”
Intervista di Anna Lombardi


ROMA È stato come prendere un machete ed entrare in una foresta fitta e priva di sentieri che brucia. Esporsi è stato orribile. Come darsi in pasto ai porci». In un albergo di Roma affacciato sul Tevere Rose McGowan, 44 anni, sceglie con cura le parole.
L’ex attrice ( Scream, Phantom la saga Streghe) che per prima ha infranto la legge del silenzio di Hollywood accusando di stupro quello che fino ad allora era l’indiscusso re degli studios Harvey Weinstein, mette subito le cose in chiaro attraverso l’editore: «di lui non parlo. Ho detto tutto nel libro». Salvo poi definirlo nel corso della conversazione “il mostro” o “il maiale”. Nata nel 1973 in Italia all’interno della setta dei Bambini di Dio dove gli abusi sessuali erano abituali, McGowan ha raccontato la sua vita difficile nel libro BRAVE, “coraggiosa”, edito da Harper Collins. È in Italia per girare Citizen Rose, il documentario in 5 puntate dove racconta la sua vita dopo quella vicenda «Capisco solo qualche parola d’italiano: ma nei sogni ancora lo parlo. Poi devo chiamare mia madre per farmi tradurre cosa ho detto».
Quanto le è costato parlare?
«Ho dovuto richiamare in vita i miei fantasmi. È servita tanta determinazione. E il coraggio che dà il titolo al libro e che per me significa fare quel che devi anche se hai paura».
Denunciare era un dovere?
«Un modo per aiutare un mondo che pure non è stato tenero con me. È servito: ne sono orgogliosa. Molti però hanno colto solo il lato pruriginoso. Per questo ho smesso di parlarne con certa stampa».
Poco tempo fa ha però svelato a Ronan Farrow, autore dell’articolo sul “New Yorker” che a ottobre fece luce sullo scandalo, di avere altri nomi in canna.
«Se volessi potrei far esplodere il mondo. Ma il mio scopo era solo svegliare coscienze e menti. Ho raccontato solo una parte sterilizzata della mia vita, più dura di così. Certo Ronan ascolta e capisce più di altri.
Ma anche lui hai suoi interessi.
Ad avermi compresa, semmai, è molta gente comune».
Ha avuto numerosi attestati di solidarietà?
«Soprattutto da estranei.
Uomini e donne».
Chi le è stato più vicino?
«Mia zia Rory. E Asia Argento: abbiamo parlato tanto di cosa significhi esporsi. Voi media italiani l’avete massacrata: come per anni gli americani hanno fatto con me, con la differenza che Weinstein li pagava per denigrarmi».
Repubblica ha preso posizione pubblicando la lettera di solidarietà di 120 attrici italiane, poi quella di oltre 100 giornaliste...
«E di questo vi sono grata. Ogni attestato di solidarietà conta; la solidarietà richiede coraggio».
Perché denunciare è così difficile?
«Guardare alle umiliazioni subite non è facile. Svelare molestie e stupri è come gettare una molotov in una stanza. Mette fine alla tua vita così come la conosci».
Della lettera delle attrici francesi contro il movimento MeToo cosa pensa?
«Che forse anche Catherine Deneuve fatica a guardarsi indietro. Vivono nella menzogna che io ho rifiutato.
Ma per la cronaca io non appartengo al MeToo».
#MeToo è l’hashtag lanciato dalla sua amica Alyssa Milano...
«Collega, non amica. E non lo ha inventato lei ma Tarana Burke nel 2006. Riconosco però che nell’era dei social ha dato la possibilità di usare un nuovo linguaggio per dire “è successo anche a me”».
Ha visto gli Oscar?
«No. Perché avrei dovuto?
È tutto così finto. Mentono per proteggere il loro status quo.
Sono una setta anche loro, un culto molto pericoloso: hanno influenza sul mondo».
Non pensa che col fondo Time’s Up le attrici di Hollywood stanno cercando di fare qualcosa di concreto?
«Non andranno lontano.
Sono legate ai loro agenti, spesso molestatori che ora si nascondono. Non dubito ci siano persone in buona fede. Ma forse non conoscono quel mondo come lo conosco io».
Lo scandalo, il libro, un documentario. E ora?
«Ora vivo. Provo a rimettere insieme la mia vita. Faccio fotografie. Ho diretto Dawn, nominato al Sundance per il premio della giuria nel 2014.
E ho inciso anche un disco.
La vita ricomincia per me».