Repubblica 6.3.18
Cina, il Grande Balzo di lato “ Meno crescita, ma sostenibile”
Il
premier Li Keqiang prevede una crescita più equa e moderata. La blocca
al 6,5% contro il 6,9% del 2017 e chiede ai governi locali di stringere
la cinghia per ridurre il deficit
di Filippo Santelli
Pechino
Un po’ meno in avanti, decisamente di lato. Il prossimo balzo della
Cina, nella visione del presidentissimo Xi Jinping, dovrebbe far
cambiare strada alla sua economia. Dalla crescita matta e disperatissima
che l’ha resa fabbrica del mondo, con costi sociali e ambientali
enormi, a uno sviluppo di “alta qualità”, più sostenibile ed equo. Anche
sacrificando, se necessario, qualche decimo di Pil. Ieri è stato il
premier Li Keqiang, fedele al pensiero di Xi e a 45 pagine di discorso
prestampato, a tradurre questa “ nuova era” in numeri, di fronte
all’Assemblea del Popolo riunita nella Grande sala di Piazza Tienanmen.
Nel 2017 l’economia cinese ha battuto di quattro decimi le previsioni,
al 6,9%, ma per quest’anno l’asticella delle attese viene rimessa allo
stesso livello, +6,5%. E omettendo la canonica formula “più in alto se
possibile”. « Per Pechino non si tratta più di un obiettivo minimo –
spiega l’economista di Asia Analytica Pauline Loong – ma del massimo
raggiungibile».
La Cina insomma rallenta, ma l’ardita scommessa di
Xi, per la stabilità del Paese e del suo stesso potere, è che possa
assorbire la frenata. Necessaria invece a disinnescare le mine che
minacciano di esploderle sotto i piedi. La principale si chiama debito,
arrivato oltre il 250% del Pil, e non a caso nelle tabelle di Li è
prevista una riduzione del disavanzo dal 3 al 2,6%, livelli su cui
neanche i falchi di Bruxelles avrebbero da obiettare. Ai governi locali
si chiede di «stringere la cinghia », ieri Xi lo ha detto di persona ai
delegati della Mongolia Interna, tra le regioni con le voragini più
preoccupanti. Quanto al governo centrale, gli investimenti non saranno
ridotti, ma concentrati su priorità: infrastrutture, tecnologia, spese
militari. Già, ieri Pechino ha rivelato che il budget per le forze
armate quest’anno crescerà dell’ 8,1%. Molto più del Pil, al contrario
di quanto assicurava un portavoce solo qualche ora prima. Un annuncio
che ha fatto sobbalzare i vicini asiatici, sempre più preoccupati dalla
decisione con cui la Cina proietta il suo potere oltre confine. Ma più
ancora del debito pubblico, è la bolla di quello privato che Xi sembra
avere urgenza di disinnescare. Il messaggio ai rampanti capitali cinesi è
già partito nei giorni scorsi, con il commissariamento di due colossi
privati come Anbang ( assicurazioni) e Cefc ( petrolio), e la minacciosa
incriminazione dei loro fondatori: l’epoca dell’espansione a tutti i
costi deve finire. Li Keqiang ha annunciato una “ repressione” contro
chi architetta acrobazie finanziarie. Mentre il regime si prepara a
cambiare faccia alle autorità di regolazione: rafforzare quella
bancaria, o addirittura fonderla con quella assicurativa. Una maxi
authority la cui regia potrebbe essere affidata al braccio destro
economico di Xi, Liu He.
È un percorso in bilico tra
normalizzazione e depressione, tra controllo del partito e stimolo
dell’imprenditoria. L’obiettivo dichiarato, quel “benessere moderato”
che nel 2035 porterebbe il Paese al livello degli Stati Uniti. Per
raggiungerlo Xi ha altre due battaglie da vincere: contro diseguaglianze
e inquinamento. Aspettiamoci pochi prigionieri. Per far uscire altri
dieci milioni di cittadini dalla soglia dell’indigenza, nel 2018 il
regime è pronto a “ricollocarne” quasi 3 milioni, spostandoli d’autorità
dalle zone più remote del Paese verso aree più sviluppate. E per
abbassare i consumi energetici (il 3% in meno per ogni punto di Pil),
riconsegnando ai cinesi i “cieli azzurri” oscurati dalle emissioni, è
pronto a chiudere dall’oggi al domani le industrie più inefficienti, in
particolare acciaio e carbone. Significa cancellare migliaia posti di
lavoro nella “ cintura della ruggine” del Nordest, il cuore della
vecchia industrializzazione cinese. Possibile, come promette il governo,
che nel frattempo ne nascano altri 10 milioni nelle città, spinti da
hi- tech e digitale. Ma altrove, a Shenzhen o Shanghai, per altre
persone. “ Prima la qualità”, per la Cina si annuncia quindi una
rivoluzione dolorosa. Un salto di dieci anni, se non quindici o venti,
con l’altissimo rischio di rimanere a metà del guado. È questo il tempo
che Xi sta cerando di costruirsi, smantellando i cicli decennali che
avevano contenuto i leader precedenti. Ma sapendo che solo mantenendo le
promesse, quel tempo riuscirà davvero ad averlo.