Repubblica 4.3.18
Le Regionaliin Lazio e Lombardia
Uniti si vince, o forse no
Gli strafavoriti Zingaretti e Fontana destinati a un finale da batticuore
Se l’alleanza in Lazio dovesse perdere, sarebbe una sconfitta seria per chi immagina domani il ritorno di una sinistra unita.
di Paolo Griseri
All’inizio
della campagna elettorale sembrava vero. Il 13 gennaio,
nell’approvazione generale, Pietro Grasso, in una delle prime uscite
politiche, aveva annunciato con la sua inevitabile solennità: «Con
Nicola Zingaretti ci sono tutte le condizioni per costruire un’alleanza
di sinistra».
Applausi e anche una ritrovata sicurezza nel
centrosinistra. Forte dell’appoggio di Leu, il governatore del Lazio
uscente era dato per quasi sicuro vincente.
Destinato a battere un record storico: essere il primo presidente del Lazio a succedere a se stesso.
Prima di lui tutti sono stati abbattuti al secondo tentativo: o dagli elettori o da se medesimi con scandali di vario tipo.
Mai
come in quei giorni di metà gennaio era lampante la distanza politica
tra Roma e Milano. Anche la Lombardia va al voto regionale ma qui la
rottura a sinistra è stata fin dall’inizio considerata inevitabile. A
sancirla, nonostante gli inviti contrari di Grasso e Boldrini, l’accesa
assemblea di Leu a Cinisello Balsamo. Una specie di Pontida
dell’orgoglio della sinistra in cui convengono militanti fin da Brescia,
da Varese, da Sondrio. Per applaudire Nicola Fratoianni che taglia
corto: «Andremo da soli. Gli appelli alla responsabilità non bastano.
Conta il giudizio politico». Perché a Roma sì e in Lombardia no? «In
Lazio il centrosinistra è nettamente alternativo alla destra, in
Lombardia meno», è la sentenza di Bersani. Traduzione: Zingaretti è di
sinistra, Gori molto meno. Il sindaco di Bergamo paga ancora oggi il
peccato originale di aver lavorato per Mediaset e di aver portato in
Italia il format del Grande fratello. E poi, tre mesi fa chi poteva
immaginare che Maroni avrebbe lasciato? Perché con un centrodestra molto
forte, si ragionava al tempo, ci si può permettere il lusso di
sperimentare, di contare il peso della sinistra radicale per utilizzarlo
all’indomani delle elezioni politiche.
Tre mesi dopo, lo scenario
appare molto diverso. Nelle due principali elezioni regionali italiane i
favoriti della vigilia sembrano aver avuto qualche difficoltà a
mantenere il vantaggio. Nonostante una serie di indubbie situazioni a
loro favorevoli. Nel Lazio il sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi,
ricopre per il centrodestra lo stesso ruolo che Leu si è inevitabilmente
intestato in Lombardia: quello del guastafeste. Stando ai sondaggi che
sono stati pubblicati fino a quando la legge lo ha consentito, Pirozzi
potrebbe essere decisivo per accoltellare il candidato del centrodestra,
Stefano Parisi. Più delle ironie del centrosinistra sul fatto che
«Parisi è uno che arriva con la valigia da Milano», conterà quanti voti
gli sottrarrà il fuoco amico di Amatrice. Parisi comunque sembra avere
dalla sua il poderoso vento di destra che Lega e Fratelli d’Italia
soffiano nelle vele della coalizione. La Lega incassa la conversione
nazionalista: da due anni a Tor Pignattara Mario Borghezio guida cortei
con lo slogan «Europa ladrona». Il vento soffia e Parisi sale nonostante
la sua fama di ”milanese” e la zavorra di Pirozzi.
Tanto che
venerdì sera anche Zingaretti ha scelto di concludere la campagna
elettorale a Latina, tradizionale feudo del centrodestra nonostante il
recente endorsement del sindaco per il centrosinistra.
Su, a
Milano, dall’altra parte del Frecciarossa, il favorito Attilio Fontana,
accantonata la difesa «della razza bianca a rischio», cerca di vendere
un’immagine più rassicurante di leghista dal volto umano. Ma deve
incassare l’effetto Salvini. Che premia nei quartieri popolari ma
spaventa la buona borghesia, non così convinta di tirare su muri in
Europa applicando le ricette protezioniste. Gori ha guadagnato posizioni
più del previsto, appoggiato dagli artefici del miracolo a Milano:
Giuliano Pisapia e Giuseppe Sala. Così il candidato del Pd può oggi
chiedere, con qualche elemento di fondatezza, «un voto a noi per battere
Salvini». Appello rivolto soprattutto «agli elettori di Leu» suggerendo
loro di «evitare il tafazzismo» e di concentrarsi sul voto utile.
Così,
in tre mesi, le parti a sinistra tra Roma e Milano si sono quasi
invertite. Con Gori che guadagna posizioni nonostante il fuoco amico di
Leu e la gioiosa macchina da guerra di Zingaretti costretta a difendere
il primato.