Repubblica 30.3.18
Lo studio
Troppo pochi gli italiani in età lavorativa
Senza figli il Pil non cresce gli immigrati non bastano più
di Rosaria Amato
ROMA Gli immigrati non bastano più.
Negli
ultimi anni hanno salvato l’economia italiana, compensando la riduzione
delle nascite e rallentando il declino dovuto all’invecchiamento della
popolazione, ma a partire dal 2041 il loro apporto in termini di lavoro
non sarà più sufficiente a risollevare il prodotto interno lordo.
Servirà altro: in mancanza di una ripresa delle nascite, bisognerà
lavorare di più, e più a lungo. A dirlo è uno studio appena pubblicato
dalla Banca d’Italia, dal titolo “Il contributo della demografia alla
crescita economica: duecento anni di storia italiana”, di Federico
Barbiellini Amidei, Matteo Gomellini e Paolo Piselli.
L’Italia è
passata dai 26 milioni di abitanti censiti all’indomani dell’Unità a
oltre 60 milioni. Per molto tempo la crescita della popolazione ha
contributo alla crescita del Pil: si traduceva in lavoro, è quello che
si chiama “dividendo demografico”, e fino a pochi anni fa è stato
positivo.
Negli anni ’80, timidamente, sono cominciati ad arrivare
i primi immigrati: fino ad allora l’Italia era stato un Paese di
emigrazione, poco attrattivo per gli stranieri.
Nel 1981 i
migranti erano poco più di 200.000, meno dell’1%: in quasi 40 anni hanno
raggiunto quota 5,1 milioni, l’8,4% della popolazione.
Mentre si
intensificavano i trasferimenti di stranieri, per gli italiani iniziava
il declino: la popolazione in età da lavoro ha raggiunto il 70%
all’inizio degli anni ’90, poi è iniziata la flessione e non si è più
fermata, ora siamo al 59%. Nel frattempo, gli immigrati hanno dato un
grande apporto alla crescita: in termini di Pil, solo nel decennio
2001-2011 si calcolano 2,3 punti. E poi c’è un contributo “ritardato”
dovuto alle nascite: gli immigrati fanno più figli, tutti lavoratori
futuri se rimangono nel nostro Paese.
Ma anche l’immigrazione sta
cominciando a frenare, e con il tempo gli stranieri tendono ad assumere i
comportamenti degli italiani, e quindi a fare meno figli.
Il
problema è che se ci sono meno persone che lavorano l’economia crescerà
sempre meno. La soluzione immediata sarebbe tornare a far figli, ma gli
studiosi sono scettici, non andrà così: le previsioni ci dicono che nel
2065 in Italia vivranno 53,7 milioni di persone, 7 milioni in meno.
L’anno spartiacque sarà il 2041: a quel punto l’apporto degli immigrati
alla crescita diventerà negativo, da noi come negli altri Paesi europei.
Fanno eccezione gli Stati Uniti, che manterranno anche nei prossimi
anni tassi di crescita positivi della popolazione.
E dunque
l’unica soluzione per evitare il declino, o per limitarlo, è quella di
lavorare di più. Se gli immigrati non bastano, per evitare un crollo
verticale del Pil bisognerà agire su altri fronti: aumentare la
produttività, alzare l’età pensionabile, favorire l’occupazione
femminile. La crescita della produttività necessaria a mantenere il
reddito reale pro capite ai livelli attuali, calcola Bankitalia, è dello
0,3% l’anno: sembra facile ma è decisamente “superiore a quella
pressoché nulla registrata dall’inizio del nuovo secolo”.
Un ruolo
determinante potrebbe essere giocato da un aumento dei livelli
d’istruzione: basterebbe solo avvicinarci a quelli tedeschi per
mantenere elevati livelli di reddito. Grande peso ha anche l’età della
pensione: con buona pace di chi vuole abolire la riforma Fornero,
l’estensione della vita lavorativa fino a 69 anni ridurrebbe di sette
punti percentuali la flessione del Pil pro capite sull’orizzonte
2016-2061.
E poi un importante contributo potrebbe arrivare dalle
donne: al momento il tasso di occupazione femminile non arriva neanche
al 50%, oltre 18 punti inferiore a quello maschile. Ma se solo si
raggiungesse il 60% (obiettivo Europa 2020) gli effetti negativi dovuti
all’invecchiamento della popolazione si ridurrebbero moltissimo, il
vantaggio è di 13 punti percentuali. L’alternativa è rassegnarci: tra 50
anni non saremo solo più vecchi, saremo anche decisamente più poveri.