venerdì 2 marzo 2018

Repubblica 2.3.18
Maschilismo in Vaticano
“Suore trattate come serve da vescovi e cardinali”
Lavano, stirano e cucinano dall’alba alla sera, senza diritti e sottopagate La denuncia sull’Osservatore Romano: “Su di loro un abuso di potere”
di Paolo Rodari


CITTÀ DEL VATICANO Suore trattate come serve di cardinali e vescovi. La denuncia è dell’inserto mensile Donne chiesa mondo de L’Osservatore Romano che fa parlare, «sotto il sigillo della confidenza», religiose «frustrate» dalla vita che conducono. Nel giorno in cui Francesco si dice «preoccupato per il persistere di una mentalità maschilista» della Chiesa, il magazine diretto da Lucetta Scaraffia scrive che nelle case di presuli e prelati diverse religiose svolgono «un servizio domestico decisamente poco riconosciuto».
«Si alzano all’alba per preparare la colazione», vanno a dormire «a cena servita, la casa riordinata, la biancheria lavata e stirata», lavorando «senza un orario regolamentato», con una «retribuzione aleatoria, spesso molto modesta». «Non lavorano a contratto», si ritiene siano lì «per sempre, che non vanno stipulate condizioni». Mentre, «raramente sono invitate a sedere alla tavola che servono».
Da tempo si levano voci che denunciano il maschilismo delle gerarchie. «La Chiesa, che predica l’eguaglianza, è ancora uno degli ultimi baluardi della discriminazione sessuale», ha detto suor Joan Chittister, columnist dell’Huffington Post.
«Una maggiore presenza femminile non subordinata avrebbe potuto squarciare il velo di omertà maschile che spesso in passato ha coperto con il silenzio la denuncia dei misfatti», scrisse fra l’altro la stessa Scaraffia in merito alla pedofilia del clero.
Mentre è stata Anuradha Seth, consigliera economica del Programma di sviluppo delle Nazioni unite, a parlare del «più grande furto della storia». Quale?
La discriminazione salariale che colpisce in generale le donne. Per il mensile vaticano le sue parole descrivono bene anche quanto accade nella Chiesa, una situazione che muove da radici profonde: «Tante religiose hanno la sensazione che si faccia molto per rivalorizzare le vocazioni maschili, ma molto poco per fare lo stesso con quelle femminili».
Suor Marie parla sotto anonimato. È arrivata a Roma venti anni fa dall’Africa. Spiega che le suore hanno spesso «paura» a parlare perché dietro hanno sovente «storie molto complesse». Ci sono a volte «una madre malata le cui cure sono state pagate dalla congregazione della figlia, un fratello maggiore che ha potuto compiere gli studi in Europa grazie alla superiora». In sostanza, le religiose «si sentono in debito, legate, e allora tacciono». Alcune «assumono ansiolitici per sopportare questa situazione di frustrazione».
Certo, la colpa non è solo di cardinali e vescovi. A volte sono le stesse superiore che si piegano a questa logica. Continua suor Marie: «Ne ho parlato con un rettore universitario colpito dalle capacità intellettuali di una suora che aveva una licenza in teologia.
Voleva che continuasse gli studi, ma la superiora si è opposta perché, disse, le suore non devono diventare orgogliose».
«Il clericalismo uccide la Chiesa», commenta suor Paule, religiosa con incarichi importanti. Che avanza la denuncia più incredibile: «Ho conosciuto delle suore che avevano servito per trent’anni in un’istituzione di Chiesa e che, quando erano malate, nessun prete di quelli che servivano andava a trovare.
Dall’oggi al domani venivano mandate via senza una parola».
Ciò conferma che le religiose sono viste come «volontarie di cui si può disporre a piacere», in favore di «veri e propri abusi di potere».
Per un rinnovamento reale, come scrivono in Le donne e la riforma della Chiesa Cettina Militello e Serena Noceti (Edb), le donne sono motore indispensabile. Eppure, il maschilismo è ancora presente.
Anche illustri esegeti si sono cimentati in un’interpretazione maschilista dei testi biblici. Tanti gli esempi, fra questi una certa esegesi della Lettera ai Romani dove Paolo parla di «Andronìco e Giunia», «apostoli insigni». Da più parti Giunia è stato tradotto come Giunio, per depotenziare l’idea che una donna fosse apostolo di Cristo. Un buon esempio, scrive ancora L’Osservatore, «di come le donne con autorità siano state rese invisibili».