giovedì 29 marzo 2018

Repubblica 29.3.18
Tullio Regge
Il Nobel mai dato a un fisico geniale
di Piergiorgio Odifreddi


A novembre del 1981 Vera Jarach, una delle madri di Plaza de Mayo, va a trovare a Buenos Aires Jorge Luis Borges.
Oggetto del colloquio il suo racconto, La biblioteca di Babele.
Ma l’oriunda italiana non si reca dallo scrittore per chiedergli lumi, bensì a darglieli. Poche settimane prima, sul supplemento culturale Tuttolibri della Stampa di Torino è uscito un articolo di Tullio Regge,
La biblioteca di Borges mette in crisi anche l’Universo.
Il fisico, rileggendo i dati di Borges, ha fatto i calcoli: la Biblioteca contiene tutti i libri di 410 pagine, ciascuna di 40 righe, ciascuna di 40 battute, scritti in un alfabeto di 25 lettere. Dunque, i libri sono 25 elevato a 656.000: un numero di poco più di 900.000 cifre. Supponendo che la densità media della Biblioteca sia uguale a un decimo di quella dell’acqua, ne risulta una massa enorme che collasserebbe in un buco nero.
Borges è entusiasta di questa osservazione. Una sua intervista esce su Tuttolibri, e costituisce uno straordinario dialogo a distanza tra il fisico e lo scrittore.
Tre anni dopo Regge pubblicherà un vero Dialogo (Edizioni di Comunità, 1984) con un altro letterato: Primo Levi. Ed è proprio qui che Levi sottolineò la valenza anche letteraria e metaforica della scienza, arrivando a dire che «la fantascienza che va in commercio è marginale, un cascame: la vera fantascienza è quella che corre nella repubblica dei fisici, scritta dai fisici per i fisici».
Il motivo per ripensare al legame fra scienza e letteratura, e fra Regge, Borges e Levi, scaturisce dalla pubblicazione di L’infinita curiosità. Tullio Regge: lo scienziato e l’uomo, una raccolta di saggi curata da Vincenzo Barone e Piero Bianucci, che sono anche autori di L’infinita curiosità. Breve viaggio nella fisica contemporanea.
Entrambi i volumi (Dedalo) escono in occasione della mostra «L’infinita curiosità. Un viaggio nell’universo in compagnia di Tullio Regge», che ha già attirato all’Accademia delle Scienze di Torino più di 20.000 visitatori.
L’articolo di Regge su Borges varrebbe già da solo la raccolta di saggi, anche se essa non contiene purtroppo l’intervista di Borges su Regge, difficile da reperire. Ma contiene un articolo di Kip Thorne, vincitore nel 2017 del Nobel per la fisica, che racconta uno degli aneddoti costitutivi del mito di Regge fra i fisici. Quando questi era ancora dottorando, incontrò nel 1955 a un convegno il fisico John Wheeler, che all’epoca studiava i buchi neri, anche se solo in seguito li battezzerà così: per questo oggi si crede che ad averli scoperti sia stato Stephen Hawking, che invece non inventò nemmeno il nome, e si limitò a sfruttarlo nel suo fortunato Dal Big Bang ai buchi neri.
Wheeler cercava di capire se i buchi neri fossero stabili o destinati a scomparire, esplodendo o svanendo. Scrisse un articolo in cui spiegava cosa sarebbe successo a un buco nero che venisse disturbato, ma lasciò gli spazi vuoti per le equazioni che non ancora non aveva. Lo diede a Regge da leggere, e dopo qualche giorno lo ricevette indietro con i calcoli fatti e le equazioni scritte.
Thorne dice che quel lavoro fu uno dei più importanti che lesse da studente, alcuni anni dopo.
Wheeler e Thorne scrissero poi, insieme a Charles Misner, un volume di 1.300 pagine, Gravitazione (1973), considerato la Bibbia della relatività generale. Il capitolo 42 è dedicato al “calcolo di Regge”, che consiste nell’approssimare lo spazio-tempo continuo di Einstein con una sua tetraedrizzazione discreta.
L’interesse del calcolo di Regge sta nel fatto che, secondo la meccanica quantistica, lo spazio-tempo dovrebbe essere veramente discreto, invece che continuo. In tal caso, non sarebbero le equazioni di Regge ad approssimare quelle di Einstein, ma il contrario: le vere equazioni della relatività generale sarebbero quelle di Regge, e quelle di Einstein costituirebbero il loro limite, quando i tetraedri diventano così piccoli da svanire in un punto.
Un esempio di struttura geodetica poligonale è il pallone da calcio, costituito da 12 pentagoni e 20 esagoni. Un articolo di Mario Rasetti nel volume dedicato a Regge racconta come i due si siano trovati nel 1980 a Varsavia per uno stage di un paio di mesi, senza poter usufruire di distrazioni quali la televisione o il cinema, a causa della lingua.
Vedendo la pubblicità di una birra illustrata con un enorme pallone da calcio, una sera si domandarono se potesse esistere una struttura analoga con 60 atomi di carbonio posti ai vertici delle facce, e ne studiarono la teoria matematica e chimica.
Cinque anni dopo quella stessa struttura fu riscoperta e sintetizzata da Harold Kroto, Robert Curl e Richard Smalley, che vinsero per questo il premio Nobel per la chimica nel 1996.
Regge non vinse mai il suo per la fisica, come Hawking, benché sia stato nominato più volte.
Ricevette invece nel 1979 la medaglia Einstein, sempre come Hawking.
I due fisici hanno avuto vari altri aspetti in comune. Entrambi furono brillanti scienziati, accattivanti divulgatori e coraggiosi disabili. Ma mentre il nome di Hawking viene strombazzato ai quattro venti, quello di Regge è suonato in sordina. Più realisticamente, e più correttamente, nella raccolta di saggi a lui dedicata viene descritto come «il maggior fisico teorico italiano dopo Enrico Fermi».
Questo è vero, e scusate se è poco.