Il Fatto 29.3.18
Nellie Bly si finse pazza per andare in guerra
di Alessia Grossi
Più
che #MeToo, #SoloIo. Nellie Bly, al secolo Elizabeth Jane Cochran
(1864-1922), prima giornalista statunitense non addetta alla posta del
cuore, stipendiata da Pulitzer, reporter della Grande Guerra, autrice di
cronache dal “Giro del mondo in 72 giorni”. Critica convinta delle new
women: “Più lavoro, meno parole” era il suo motto, viene ora riscoperta
in diverse pubblicazioni, tra cui Dove nasce il vento di Nicola Attadio
(Bompiani), che racconta la vicenda straordinaria di “Pink”, detta così
per il rosa con cui era solita vestirla sua madre e La vuelta al mundo
en 72 días y otros escritos (Capitán Swing), raccolta dei suoi reportage
uscita in Spagna.
E se l’è cercata. In tempo di Time’s Up e
stravolgimenti del punto di vista maschile, chi più di “Lizzy”, venuta
da Pittsburgh a New York nel quasi 1900 può raccontarci com’era e com’è
assistere alla disfatta di una madre per mano di un alcolista violento,
ripromettersi che “Mai più barattare la propria dignità in cambio di un
po’ di sicurezza. Mai più nella propria vita dovrà dipendere da un uomo.
Mai più”, come ricorda Attadio nel libro, cosa significava voler
svolgere il proprio lavoro sopra ogni cosa e “piangere e scrivere, senza
fermarsi” una lettera al quotidiano della sua città contro La sfera
delle donne, il pezzo con cui il giornalista Wilson tentava di rimettere
ordine nel crescente malcontento femminile dell’epoca. La firma è
“Lonely Orphan Girl” (Orfana solitaria). Ma è “Pink” Nellie a scriverla.
E – invitata da Wilson – si presenta in redazione: “Ha un vestito di
seta nero e una specie di turbante. Ha ancora il fiatone per l’emozione e
per i quattro piani di scale”, narra Attadio. Il giornalista, colpito
dalla sua missiva la invita a riscriverla sotto forma di articolo
“pagato”. Nellie non ci crede. Ma quello sarà solo la prima di una lunga
serie di fatiche ben ripagate. Certo non è la prima, né l’ultima donna a
fare la giornalista, a quel tempo in giro per il mondo ne nascono e
combattono altre: da Sofia Casanova (1851-1968), l’intervistatrice di
Trotsky, che inviava le sue cronache dal fronte della Prima guerra
mondiale, a Carmen de Burgos (1867-1932) che un giorno fece la valigia e
se ne andò a coprire quella di Melilla, oppure – di lì a poco – la sua
collega Clare Hollyngworth (1911-2017), prima a dare l’esclusiva
dell’invasione tedesca della Polonia che diede inizio alla Seconda
Guerra mondiale. O la fotoreporter di guerra Gerda Taro, di cui da poco è
stata ritrovata l’ultima foto: la protagonista per una volta è lei. In
fin di vita, colpita in Spagna durante la Guerra civile, raccontata fin
dal principio con il suo compagno Robert Capa.
Ma a Nellie Bly
senz’altro va il primato del giornalismo in prima persona, quello che
nel 1970 renderà famoso Hunter S. Thompson. Sotto questo segno
distintivo pubblicherà per il New York World di Pulizter, meglio, per il
decennale della sua direzione, “l’inchiesta sul manicomio femminile di
Blackwell’s; l’indagine undercovered sul lobbista Phelps e il giro del
mondo in meno di ottanta giorni”. Ma dopo un matrimonio sbagliato e un
fallimentare tentativo di scrivere fantasy, il meglio dei suoi reportage
verrà dal fronte austro-ungarico. Ieri, giovedì 29 ottobre, sono
partita per il fronte. Mi hanno chiamata alle cinque di mattina. Lavarsi
al buio è stato poco piacevole. La mia lampada elettrica era esaurita e
la luce del giorno non si era ancora levata. “Inizia così la cronaca
del viaggio verso Przemysl, la roccaforte in Galizia (nell’attuale
Polonia) al confine orientale dell’impero”, come ricostruisce Nicola
Attadio in Dove nasce il vento. Chi uccidono, cosa uccidono, non lo
sanno. Arriva l’ordine di sparare in una certa direzione e a una
determinata distanza. “Trecentoquaranta metri” li ho sentiti dire. “Di
nuovo duecentocinquanta.” Così gli uomini uccidono senza emozione. Non
assistono ai risultati e dunque uccidere risulta meno arduo, racconta
Nellie Bly. Sempre in prima persona, sempre senza filtri, per spiegare
“che la guerra sceglie le vittime a caso”. Una lezione da tenere bene a
mente come la sua cifra giornalistica. “Per lei la stampa serve solo se
rompe il muro dell’indifferenza, se ci fa conoscere ciò che non vogliamo
guardare. Nellie cammina, osserva, registra. Capita che, soffermandosi
su un dettaglio utile per un articolo, perda di vista il gruppo. Spesso
recupera, seppur con fatica, e raggiunge gli altri. Arriva con il
fiatone”, come ai vecchi tempi. Come al principio della sua carriera a
Pittsburgh. Ma più nulla è come allora. Quando Pink torna a New York nel
1919 l’aspetta un’altra guerra, quella legale con sua madre e suo
fratello, e come lei anche la Grande Mela non è più la stessa “Il
progresso, lo splendore, la fiducia del ventennio a cavallo tra i due
secoli si sono infranti contro l’orrore della guerra”. Dopo anni di
lotta, al principio del 1922 Pink muore incredibilmente di
broncopolmonite. Il suo amico e collega storico, Arthur Brisbane scrive
sul Journal: “Non ho mai scritto una parola che non provenisse dal mio
cuore. E mai lo farò”. Firmato, Nellie Bly.